Il finale sanguinoso di una traversata nel deserto lunga cinque anni, da suggellare ora provando a portarsi dietro dieci lezioni dalla nascita, la vita e la morte della Mens Sana Basket 1871 e di quello che le se è mossa attorno. Lezioni del tutto opinabili, perché si tratta di opinioni (per quanto basate su fatti) e in quanto tali contestabili, per carità. Magari può essere l'inizio di un ragionamento, sensibile di essere aggiornato, sviluppato, proseguito, anche perché sicuramente qualcosa è sfuggito. Anche perché cinque anni del genere non si possono chiudere così frettolosamente (per quanto la brevità non sia esattamente la cifra stilistica di questo post). Di certo è l'elaborazione di un lutto.
LA CHIAREZZA DELLE RESPONSABILITA'
Chi c'è stato alla fine sarà rimasto col cerino in mano, anche se per un imprenditore non è proprio una cosa da gridare ai quattro venti, non esattamente una dimostrazione di fiuto degli affari. Chi c'è stato prima avrà avuto e ha le sue colpe. Ma basta con questa novella che "i Macchi erano quello che erano, ma anche quelli che c'erano prima... la stessa cosa". La verità certificata è che l'anno della Serie B si è chiuso sostanzialmente con i conti in ordine, il primo buco importante si è materializzato nel primo anno di A2 senza sponsor e sostanzialmente ci si è portata dietro quella voragine - comunque mortale, prima o poi i nodi sarebbero venuti al pettine - fino all'era Macchi quando... la situazione debitoria è esplosa a un livello almeno sei-sette volte peggiore di quello che hanno trovato (cioè MOLTIPLICATO per sei o sette, il tribunale fallimentare accerterà la profondità esatta del cratere).
Per dire che: ci sono responsabilità diffuse - se n'è parlato, se ne parla e se ne parlerà - ma mai sfociare nel "tutti colpevoli, nessun colpevole". Sarebbe una scorrettezza alla storia archiviarla con vaghezza, quando non qualunquismo: c'è una responsabilità molto più chiara di altre. Corollario nell'ottica di prospettive future: se i fatti hanno certificato che negli ultimi anni Siena non si poteva permettere una Serie A2, non è nell'ordine di grandezza del crack plurimilionario di debiti con fornitori, dipendenti, banche frutto dello tsunami di comportamenti criminali di cui la Mens Sana è stata vittima o comunque strumento, ma una misura più realistica di quello che è mancato (il gap da colmare) è il debito che la Siena Sport Network ha trovato, non quello che ha esploso con la propria dissennata gestione.
LA NECESSITA' DI UN PROPRIETARIO
Una reazione comune è stata: siccome con i Macchi è andata come è andata, "la malattia di fondo è l'inseguimento di un salvatore sul cavallo bianco". Comprensibile. Ma magari poterne fare a meno. Semplicemente perché è così che va il mondo, è così che sono fatte le società di basket, e non solo. E' stata un'esperienza traumatica che ha portato la Mens Sana alla chiusura. Ma quante volte capita? Non è la normalità trovare soggetti del genere, così autolesionisti (e pericolosi anche per gli altri, oltre che per sé) da arrivare in missione kamikaze con l'unica prospettiva della propria azione imprenditoriale di andare a schiantarsi inesorabilmente verso un fallimento (col senno di poi, certo). Il normale imprenditore che entra nello sport avrà altri difetti, tanti, ma non questo.
Poi per carità non si sa mai, ma è questo il modello delle società sportive: avere una proprietà - comprensibilmente con degli interessi in ballo per farsene carico, difficilmente per buon cuore - e affidarsi a quella proprietà finché non è maturo un cambio di mano (spesso associato a un cambio di prospettive: a volte in bene, a volte in male). Era il modello Monte dei Paschi che era un'anomalia, in fin dei conti poi diversa solo nella forma più che nella sostanza da pregi e difetti del modello del proprietario mecenate. In conclusione: se la ricerca di un proprietario in passato è andata come peggio non poteva, nella vita (sportiva) un proprietario a cui affidarsi serve, almeno da un certo livello in su (e non parliamo di Eurolega). Per cui al di là delle scottature passate, c'è da ricominciare a cercarlo.
IL RAPPORTO CON LA POLISPORTIVA
Era già successo nella storia della Mens Sana che i fatti dimostrassero che quello del proprietario, a un certo livello, non può essere il mestiere della Polisportiva. Che ha ormai una missione diversa, una funzione sociale diversa, interessi tecnici e sportivi molto variegati e quindi diversi, per un pubblico diverso (o almeno con un ruolo diverso, quello di praticanti e non di spettatori), di conseguenza anche una forma mentale diversa, un approccio diverso, processi decisionali diversi. Un'anima diversa. Poi ha avuto il senso di responsabilità di sobbarcarsi l'onere della ripartenza (ma anche l'onore unico, della ripartenza), e quando c'è bisogno di ricostruire dalle fondamenta farlo con i paletti propri del mondo dello sport di base può essere un valore aggiunto. Ma oh... BREAKING NEWS... a quanto pare i fatti hanno dimostrato che fare il proprietario della Mens Sana è un mestiere a cui non ha dimostrato di essere adatto nessuno da decenni, forse dai tempi di Rossi e Ciupi, forse anche prima. Quindi la Polisportiva è in ricca compagnia. Ma non per questo può essere una soluzione di lungo termine.
Anche ipotizzando lo scenario di una proprietà esterna, la Polisportiva è comunque un interlocutore con cui ci si dovrà sempre interfacciare per il tema degli spazi, in termini di quantità (oraria) ma anche qualità, degli spazi. Nelle tante controversie di questi anni sono state più le volte in cui la casa madre si è ritrovata dalla parte della ragione che del torto, vista anche la qualità di certi interlocutori. Ma proprio per le diversità e le differenti esigenze di cui sopra, e di cui non resta che prendere atto, la storia dice che interfacciarsi con la Polisportiva non è stato facile in passato, ed è una questione anche per il futuro, qualunque sia.
IL PROBLEMA DELL'IMPIANTO
Che sia un bene privato, o pubblico, o privato a uso pubblico. Che se ne debba occupare il proprietario, o l'amministrazione pubblica. Che lo si veda come punto di raccolta per evacuazioni in caso di emergenza o come legittimo obiettivo di appetiti edilizi di ingegneri o di fondi inglesi. Che lo si guardi con gli occhi a cuoricino delle mille notti magiche vissute là dentro oppure col groppo in gola di chi lo vede già tra qualche anno come un futuro moderno Colosseo in rovina, memento dei leoni che l'hanno animato ma anche simbolo potente della fine dell'impero, dell'incuria e della decadenza (letterale) di chi non riesce a far vivere la storia diversamente dall'archeologia. Insomma, comunque sia, si faccia qualcosa per il palazzetto dello sport.
Quelli della Mens Sana Basket 1871 sono stati gli anni dell'agibilità a repentaglio per le saldature del tetto, delle partite giocate spostando la gente perché pioveva in curva. Freddo c'è sempre stato, perché tenere a temperatura un impianto costruito così forse sarebbe missione impossibile anche per un luminare dell'efficienza energetica. Ma non per questo è meno stridente battere i denti in un impianto che porta il nome di un'azienda di energia. Non sarebbe difficile andare avanti, ma lo scopo qui non è appurare quello che è scontato, cioè che a livello estetico e funzionale gli impianti moderni sono fatti diversi.
E' piuttosto riflettere sul fatto che, pur in queste condizioni, basta che sia lì, che stia in piedi, perché sia attrattivo: sono arrivati il volley maschile da Chiusi per portarci (poi anche) la Superlega, la pallamano da Tavarnelle per puntare allo scudetto, la pallavolo femminile da Scandicci per giocarci la Champions League... E hanno scelto questo palasport per il solo fatto di esistere, in questa zona geografica e con questo numero di posti a sedere (peraltro non granitico): difficile immaginare altri motivi. Non è che rimesso un minimo allo stato dell'arte potrebbe diventare anche profittevole? Così per ipotesi eh. Con quali soldi? Eh... Al di là degli scenari catastrofici, così è un peccato. Come minimo.
LA LONTANANZA DELLA POLITICA
E' dal crack della Mens Sana Basket "originale", così legata a un sistema di potere a cui era del tutto funzionale, che sembra che la politica abbia paura di sporcarsi a occuparsi del basket biancoverde al punto di lasciarlo morire: non una volta (nel 2014) e neanche due (nel 2019), diciamo almeno tre, perché anche il salvataggio dal fallimento annunciato del 2015 non è certo arrivato dall'alto, bensì dal basso. La Mens Sana vive oggi, e da anni, lontana dagli occhi, e lontana dal cuore, di chi gestisce la cosa pubblica. L'unico sostegno, tanto isolato dal contesto cittadino da poterlo interpretare col senno di poi come un'iniziativa a sé e non come lo strumento scelto per un supporto, è stato quello di una partecipata. Se le cose sono andate così con due ben diverse amministrazioni evidentemente è perché il basket non è considerato materia che sposta consenso.
Certo, su certi carri (societari) difficilmente sarebbe voluto salire qualcuno. E certo, la Mens Sana non è riuscita a restare lontana dalle pagine meno nobili dei notiziari, e quindi sarebbe servito coraggio, o almeno personalità, per sostenerla. Non è una giustificazione, ma sono cose che succedono a chi in cinque anni ha sempre dovuto inventarsi qualcosa, finendo così in mano a proprietari che hanno dimostrato di non poter fare i proprietari, perché un sostegno (non soldi, anche solo vicinanza, amicizia) in grado di dare stabilità, o anche solo innescare un circolo virtuoso, non è mai arrivato, nei confronti di un'istituzione in crisi che è un patrimonio culturale, sociale, economico, occupazionale e simbolico di una città e di un popolo.
Non si evochino incontri fuffa, dichiarazioni posticce, stupori scandalizzati e moralismi fuori tempo massimo, approcci maldestri: al di là degli sforzi individuali di qualcuno che dall'interno ha provato a fare breccia in quel muro di gomma, se una città nelle sue massime espressioni rappresentative ed economiche vuole stare vicina a una realtà si vede dai fatti e dai risultati, come è stato (legittimamente, e forse meritatamente) per altre società del territorio. In queste condizioni, le prospettive con cui guardare al futuro sono le stesse vissute in questi cinque anni.
IL CONSORZIO DA RIFARE
Non era facile credere a priori all'idea di un Consorzio di aziende alle spalle della Mens Sana. "A Siena non c'è l'imprenditoria che c'è dove questo modello funziona". Bene, i consorziati irriducibili, i sopravvissuti, quelli rimasti fino in fondo, da una parte sono stati degli esempi per quello che hanno dato alla Mens Sana, ben oltre quanto inizialmente pianificato, sacrificandolo ai propri affari, sostanzialmente in cambio della stessa visibilità che avrebbero avuto se fossero stati "normali" inserzionisti, ma nulla più, nessun vantaggio reale per le proprie aziende per il fatto di essere membri di un Consorzio. Dall'altra parte non possono che prendersela con se stessi se il Consorzio è stato questo, incapace di darsi una guida, una direzione, e un senso, e un'idea del proprio ruolo, e alla fine una consapevole exit strategy almeno da fine 2017 in poi. Essersi fatti del male da soli, eventualmente, è un loro problema. Ma aver compromesso (con mesi di non-gestione allo stato brado) un'idea su cui la Mens Sana contava, senza peraltro mai spiegare pubblicamente che si sarebbe andati all'esaurimento di quell'esperienza, non è qualcosa che si cancella solo riconoscendo i denari spesi per la causa.
Il punto è un altro: se un Consorzio fatto così, con una gestione - diciamo così - con margini di miglioramento palesi, ha comunque saputo farsi carico per un periodo della proprietà della Mens Sana, e al suo massimo splendore ha saputo contribuire per più di 400mila euro per una stagione, certo al costo di "prendere per il collo" i consorziati arrivati col fiato corto agli anni successivi, allora cosa potrebbe essere con un Consorzio "vero"? Un Consorzio attrattivo perché organizzato come quelli che danno alle aziende occasioni di incontro con altre aziende con cui poter fare business, occasioni di formazione, occasioni di attività e partecipazione anche conviviale alla vita del club, occasioni di promozione costruite su misura e non indistinguibili rispetto ai "normali" inserzionisti, curandole e coccolandole, e molto altro ancora: non c'è niente da inventare, basta studiare cosa fanno gli altri, e capire che serve un investimento minimo per darsi una cabina di regia, necessaria per creare qualcosa che funzioni. Se come "socio" della società o come "club degli sponsor" è da studiare, ci sono pro e contro. Sì, tutto questo anche in una città in cui "non c'è l'imprenditoria che c'è dove questo modello funziona".
L'ASSOCIAZIONE DA RIFARE
Ce n'è abbastanza anche per poter trarre delle conclusioni sull'esperienza di un'Associazione dei tifosi all'interno, quando non alla guida, della società. Al di là degli inevitabili mostri che lungo il percorso questo modello ha creato e alimentato, si è dimostrato uno strumento più adatto per momenti di lotta che di governo. Si direbbe una risorsa su cui contare in situazioni d'emergenza, se non fosse che questo significherebbe ricorrere alle tasche degli appassionati e, beh, allora si è già dato, può bastare anche così, e farlo ancora sarebbe approfittare della passione della gente. Al di là delle difficoltà di governabilità, quello dei tifosi proprietari - o anche solo soci chiamati a ripianare - ha dimostrato di essere un assetto non sostenibile economicamente da un certo livello in su.
Se la questione è avere una rappresentanza nella stanza dei bottoni, per diritto di tribuna, o anche solo per difendere le radici, la tradizione, ecc... laddove si prendono le decisioni, una forma adatta si può cercare. Ma mettere in società tifosi, invece di chi lo fa di mestiere, con lo scopo di poter controllare i conti e le scelte societarie, non è servito minimamente ad accorgersi del disastro in tempo utile (anzi, parti dell'Associazione sono state quelle più resistenti a smettere di fiancheggiare il sistema-Macchi), esattamente come quando lo stesso era successo alla Polisportiva proprietaria all'87% della Mens Sana "originale". Più che stare dentro, quello che serve è saper cogliere i segnali.
Ma non per questo l'esperienza dell'associazionismo non ha senso di esistere. E' importante, anche se a Siena lo è stato troppo poco, ma altrove è così, aggregarsi per fare massa critica. Non al palazzo, per quello c'è il tifo organizzato che è una cosa diversa, ma per essere un interlocutore con l'autorevolezza per interfacciarsi con le istituzioni a tutela della Mens Sana e rappresentare qualcuno che non si può ignorare, un popolo. Se vogliamo, anche una massa critica dal punto di vista commerciale, nel senso che aziende che vogliono avvicinarsi alla Mens Sana sanno di potersi rivolgere a uno zoccolo duro di associati/tesserati a cui offrire promozioni, convenzioni, fidelizzazione. Ma proprietari no. Controllori men che meno. Controllare è un lavoro, chiederlo a chi nella vita fa altro è stato improprio nei loro confronti e ha creato un equivoco tra i tanti attorno a cui è morta la MSB1871.
DARE IL MEGLIO NEL PEGGIO
Al netto di chi ancora fino all'ultima settimana additava a nemico della patria chiunque osasse avanzare l'ipotesi che ci fossero problemi, o anche solo chi aveva avuto l'ardire di parlarne, figuriamoci quelli che si sono permessi di fare lodi o separare la propria strada dalla Mens Sana... Al netto di chi pensava di saperne di più solo perché aveva rapporti diretti, salvo che quei rapporti diretti sono stati lo strumento per farsi prendere per il... naso. Al netto di questo e altro, la "piazza" ha dimostrato di essere più capace di reagire con la necessaria critica costruttiva rispetto al fallimento di cinque anni prima, quando una atavica polarizzazione della discussione in guelfi contro ghibellini ha reso impossibile il sedimentarsi di una verità storica condivisa da cui ripartire.
Se c'è una sicurezza, allora, come oggi, come durante questi cinque anni, è che quanto più è peggiore il momento, tanto più la "piazza" ha dimostrato di saper dare il meglio di sé: la nascita dell'Associazione nel 2015 e quel salvataggio possibile - non dimentichiamolo - grazie a quattro diversi gruppi di raccolta, che poi è simile a quanto abbiamo visto pochi mesi fa con la raccolta spontanea tra tifosi per il settore giovanile. Ma "dare il meglio" è anche la ritrovata unità di intenti da cui si è ripartiti quest'anno, con la capacità del tifo organizzato di non fermarsi alle incomprensioni estive sulla ripartenza, decidendo che era più importante guardare avanti a una soluzione diversa da quella auspicata ma ormai la migliore per il bene comune, evitando la lacerazione di voler creare un'altra Mens Sana, com'è successo altrove e forse sarebbe successo qui in altri tempi. Ed è "dare il meglio" essere ripartiti dalle 700-800-900-1000 persone in Promozione, così come lo era stato ripartire dai 2000 abbonati e 2500 presenti in Serie B. C'è tanto da dire sul pericolo un'erosione del radicamento in città, ma questo è un patrimonio indiscutibile, da non dare per scontato perché non lo è, di cui andare orgogliosi. Lo siamo.
LA BASE DA RINGIOVANIRE
I numeri delle presenze in Promozione confermano quello che si sapeva, che la Mens Sana ha uno zoccolo duro su cui contare. Certo, asciugato dal livello in cui si gioca attualmente. Ma se si guarda ai numeri di un anno fa in A2, il bacino in linea di massima è lo stesso precedente agli anni d'oro. Sì, un po' assottigliato in realtà. Ma molto probabilmente non per i delusi che si sono allontanati, compensati in buona parte da chi invece in questi anni ha scoperto una passione. Si è un po' assottigliato per motivi anagrafici. Perché basta guardarsi in faccia: il pubblico della Mens Sana è sempre meno giovane. E come sempre non è colpa di chi c'è, che Dio lo conservi e rovente come sempre, ma il problema è piuttosto chi non c'è.
Perché al di là dei nuovi entusiasti di cui sopra (benvenuti) gli anni d'oro non hanno allargato la base come era lecito aspettarsi, né approfondito un radicamento autentico molto oltre chi la Mens Sana ce l'aveva già nel sangue: non c'è mai stato un vero ricambio generazionale che abbia saputo andare al di là di pochi settori del palazzetto. Sebbene il tema sia ben più ampio della sola Mens Sana o del solo basket o del solo mondo sportivo, trovare un modo per affrontarlo nel proprio piccolo è comunque una priorità. Una strada è quella delle giovanili, anche per avvicinare pure la galassia delle famiglie, oltre a provare a costruire una generazione di ragazzi con un forte senso d'appartenenza. Interessante: non è solo un primo passo, è di più. Ma di strade ne serviranno anche altre, chi ha idee è benvenuto.
LA CAPACITA' DI FARE BASKET
Quello che alla Mens Sana non si è mai perso è il desiderio, e in alcuni frangenti anche la capacità, di fare le cose in un certo modo. Voler far bene basket. Il patrimonio immateriale di una tradizione come quella della Mens Sana è voler fare le cose come si deve, e nel modo in cui si crede, quando si parla di basket. Le vicissitudini degli ultimi anni hanno creato una storia troppo frammentata per poter parlare di una scuola tecnica unitaria che ha saputo sopravvivere a tutto, non è proprio così. Ma ha saputo sempre rinnovarsi, sicuramente ha sempre avuto la forte volontà di farlo, nonostante scelte dall'alto discontinue sul settore giovanile o sulla prima squadra, inseguendo spesso con la dedizione quotidiana di tanti un livello qualitativo superiore a quello che con le risorse a disposizione era sensato attendersi. Nel dna c’è anche questo. Finché c’è competenza, c'è Mens Sana.
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Ottimo articolo: analisi,precisa e accurata...
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