mercoledì 24 aprile 2019

Un Libro di Storia

"Time Out", il libro uscito il 17 aprile, scritto da Flavio Tranquillo per analizzare le vicende della Mens Sana e anche molto altro, ha il pregio capitale di essere il primo tentativo di storicizzare un decennio, e in senso lato un ventennio, caduto nell'oblio della narrazione sportiva. Ma soprattutto nell'oblio dell'intero movimento basket, che ha risolto l'imbarazzo di non sapere come porsi nei confronti di un'epoca a cui ogni componente è stata organica, pensando che intanto bastasse nasconderla sotto il tappeto come non ci fosse mai stata, invece di farsi delle domande e darsi delle risposte. Scomode. Molto.

"A chi non punta il dito, ma guarda la luna", dice una parte della dedica di inizio libro. La "luna", cioè una ricostruzione degli anni d'oro e poi della fine della Mens Sana Basket, è argomento di estremo interesse giornalistico, anche per le finestre che apre sui tanti mondi collegati, ma la sfida proibitiva di doverne farne una sintesi per renderlo divulgativo lo ha reso respingente a chi ci si è avvicinato. Aver raggiunto questa sintesi, al prezzo di scelte nette che però non degenerano nella superficialità, è un altro pregio oggettivo di questo lavoro, un lavoro difficilmente immaginabile.

Dunque, estremo interesse giornalistico. Ma quanto è anche un argomento di interesse per il grande pubblico? Intendendo come interesse non una chiacchierata tra amici o addetti ai lavori, ma quello misurabile dall'acquisto o meno di un libro sul tema. Qui, suo malgrado, per una volta diventa importante anche il "dito" che indica la luna, quello di Flavio Tranquillo. Esiste qualcun altro nel mondo del basket a cui basta prendere la parola su un argomento, non importa neanche per dire cosa, perché su quello si accendano riflettori che altrimenti non ci sarebbero mai stati? Non è un difetto, tuttaltro: è grazie a questo "dito" che un argomento difficile, e di difficile divulgazione, può avere il pubblico (ampio) che merita, dopo i citati anni di imbarazzato silenzio. Ed è anche questo un ulteriore pregio di "Time Out".

Non rinunciando a slanci di estrema attualità, come i fondi inglesi interessati alla Mens Sana o la prossima delibera federale sulla scissione tra titolo sportivo e codice di affiliazione, questo primo tentativo di storicizzare un'epoca non resta appunto un tentativo ma trova una forma compiuta che ne fa un primo testo essenziale per ripercorrere quegli anni, sebbene arrivi prima delle sentenze definitive e sebbene, com'è normale vista l'idea dell'opera, di basket ce ne sia poco: "Sono stato attratto dall'ammaliante bellezza del Gioco? Sì, e non lo rinnego. Quella squadra aveva la garra e il killer instinct della Milano petersoniana, e lasciava sul campo più energie degli avversari", scrive Tranquillo dopo aver alzato le mani per dire "Mentre tutto quello di cui parleremo avveniva io c'ero, anche se spesso dormivo".

No, non dormiva, e il suo sguardo progressivamente critico - nel senso di attento - sull'era senese è quello che nella retorica dell'epoca ("con noi o contro di noi") più di ogni altra considerazione professionale era bastato, come era bastato anche ad altri, perché una parte consistente dell'ambiente mensanino abbia preso allora a considerarlo come una figura ostile. "Un libro di carte rischia di essere poco scorrevole. Senza le carte, però, in questo caso non ci sarebbero i fatti. E senza i fatti non si può costruire un'opinione, ma solo un pregiudizio". Ecco "Time Out" merita di essere letto senza pregiudizi, né congetture erroneamente preconfezionate su cosa ci sia dentro, per scoprire leggendolo che ci si trova di fronte a un libro in nessun modo anti-Siena, né anti-Minucci.

Anzi capace fin dalla prima pagina di mettersi in empatia con l'animo ancora oggi sanguinante di chi rivive quel ferro di Janning del 25 giugno 2014 come una lacerante coltellata al petto che continua a rigirare la lama nella ferita. E capace di gestire la figura centrale di Ferdinando Minucci non come il mostro da buttare in prima pagina, inquadrandolo piuttosto - senza sconti ma con una contestualizzazione che permette di andare oltre letture solo superficiali - nel sistema cestistico e cittadino in cui si è fatto strada. Così le virgolette concesse da Minucci diventano un contributo fondamentale di indubbia efficacia e profondità, quasi mai per mero diritto di tribuna ma spesso accompagnando il ragionamento, una voce fuoricampo che non fa da controcanto ma aggiunge un livello di lettura all'analisi.
 
Sempre tenendo non certo al centro ma sullo sfondo quello che è successo sul campo da basket, alla ricerca di argomenti da mettere sul tavolo per approfondire la discussione, più che di scoop, la Mens Sana è il baricentro di una ricostruzione che tocca le peculiarità di Siena e della Banca con accuratezza storiografica, con competenza documentata e passione per gli intrecci (groviglio ha assunto un significato diverso: diciamo intrecci) come quelli che portano a Mussari e Piccini. 

E la Mens Sana è il passepartout per parlare della cessione del marchio anche nel calcio, della questione dei diritti di immagine nel basket e non solo, dei bilanci e degli spettatori dell'Olimpia, della ripartizione del budget di Trento (entrambi a titolo esemplificativo), della sostenibilità del modello di business del basket, dell'incapacità dello sport di generare ricchezze e di quanto questo lo renda vulnerabile di fronte a chi ne voglia fare la culla del riciclaggio o lo strumento per generare fondi neri, sconfinando infine in una ambiziosa battaglia civica contro la piaga non solo sportiva dei reati fiscali. 

Con un'efficace capacità di andare avanti e indietro cronologicamente senza perdersi ma anzi come espediente per tenere sempre in mano il filo del discorso voluto, invece di assecondare i rivoli che potrebbero aprirsi ogni volta, il rigore dell'approfondimento fa risaltare per contrasto - per cambio di registro più che per lo spazio riservato (esiguo) - i brani concessi alle opinioni. Che comunque, per chi firma un libro, non solo sono assolutamente legittime, ma diventano anche un atto di onestà verso il lettore.
   
Ne esce in ogni caso un forte atto d'accusa non solo sul rispetto delle regole, ma in gran parte su come sono scritte queste regole, del sistema basket e delle istituzioni sportive: non c'è bisogno di accuse temerarie, è la prova dei fatti a urlare forte. Ed è infine così che si completa il metodo di analisi che dal "particolare più particolare che ci sia" finisce per allargare il focus sul generale, non solo del movimento. "Affrontare una vicenda del genere significa sporcarsi le mani. Molto probabilmente fare errori materiali e logici. Il giornalismo, d'altronde, è tutto tranne che puro e lindo. Se però ti chiami fuori per paura di sbagliare, il danno è ancora maggiore. Perché senza giornalismo stiamo peggio tutti".

Flavio Tranquillo, Time Out - add editore - 300 pagine, 18 euro



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