lunedì 2 settembre 2024

Palazzetto e palazzetti, dove si va a parare

Per la prima volta l'amministrazione comunale ha parlato pubblicamente, con un virgolettato ufficiale, del tema dell'idoneità sismica che incombe sul futuro del palasport. In un'intervista a Orlando Pacchiani sulla Nazione di giovedì scorso, l'assessore allo sport e all'edilizia sportiva Lorenzo Loré ha dichiarato: "Entro l'anno completeremo le indagini per capire quale strada prendere: la certificazione scade nel 2027, dovremo valutare i costi dell'intervento". Domanda: ma ci sono anche soluzioni alternative? "Non sono all'ordine del giorno". 

Comprensibilmente dal punto di vista istituzionale non ha senso sbottonarsi su "soluzioni alternative" adesso, prima dell'indagine tecnica che chiarirà lo stato dell'immobile e le necessità di intervento. Ma già parlare di valutazioni legate ai costi delle opere e "capire quale strada prendere" racconta che gli scenari sono più aperti e ampi rispetto all'interpretazione letterale della già dichiarata, e già affrontata, posizione dell'amministrazione di non prendere in considerazione allo stato attuale prospettive più drastiche per l'impianto. Un motivo in più per cui, una volta sollevato il tema, adesso giornalisticamente è non solo legittimo ma anche consequenziale, e auspicabilmente utile, provare a delineare le prospettive in gioco.

Riassunto delle puntate precedenti: Allarme per il palazzetto perché? Qual è la novità? Nessuna per chi ha avuto per le mani in questi anni il dossier. Per la percezione pubblica invece, la novità è che, a differenza di quanto diffusamente inteso, gli interventi svolti dal Comune nelle ultime due estati (più la prossima) sul soffitto del palazzetto non sono risolutivi per l'agibilità di lungo termine del palazzetto. Che anzi allo stato attuale sarebbe a forte rischio in tempi relativamente brevi: le opere in corso affrontano i più urgenti (e relativamente più "abbordabili") problemi di statica, ma è concreta la possibilità che ne servano di ben più invasivi entro la scadenza del 2027 per ottenere il rinnovo dell'idoneità sismica. 

"Rischio concreto" per come arrivò l'ok del 2017 e per le modifiche più restrittive alla normativa intervenute nel frattempo. "Tempi brevi" per quello che servirà fare nel frattempo: prima una complessa verifica, che il Comune affiderà entro fine anno, che stabilirà (e ci vorranno diversi mesi) se serviranno degli interventi (molto probabilmente sì). E poi la loro più che eventuale realizzazione, a sua volta potenzialmente molto complessa. E con costi che potrebbero essere tali da valutare ogni scenario. Compreso quello in cui non valga la pena spendere ulteriori denari pubblici su questo impianto, per tanti motivi, ma piuttosto costruirne uno nuovo. E qui rispetto alla scadenza del 2027 saremmo già nella zona fuori tempo massimo.  


E' naturale che il Piano A, l'ipotesi più semplice su cui prendere decisioni, sia poter rimettere mano al PalaSclavo. Con la permanenza sullo sfondo del possibile ruolo di Sigerico come veicolo di fiducia per gestire la patata bollente: la società in-house del Comune pareva inizialmente in predicato di ottenere la gestione dell'impianto, una volta acquisito dalla Polisportiva, poi non se n'è più fatto di niente. Ma il fatto che nei mesi scorsi abbia già ottenuto l'affidamento in via sperimentale della gestione di altri impianti sportivi cittadini con qualche criticità induce a considerare questa strada ancora attuale. Magari nel solco della strada ipotizzata dalla precedente amministrazione che, in sede di acquisizione del palasport, aveva dichiarato la volontà - di per sé di non semplice attuazione, sicuramente impossibile nelle condizioni attuali - di farne un contenitore anche per molto altro, oltre alle partite. 

Ma resta la possibilità che a far saltare il banco, e a cambiare gli elementi in base a cui prendere la decisione di maggior buon senso, sia la necessità di lavori particolarmente seri su un impianto che ha 50 anni e che è stato costruito ben prima che in Italia entrassero in vigore le normative antisismiche, e dunque una conseguente impennata dei costi se si rivelassero inderogabili interventi massicci sulle strutture di cemento armato, o sulle fondazioni, con quel che significa anche in termini di scavi. E siamo tornati dove eravamo rimasti: e se i costi, compresi quelli molto molto importanti di demolizione, rendessero più opportuno ragionare su un nuovo impianto da zero piuttosto che rimettere mano a questo?


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E' chiaro che qualsiasi riflessione sul futuro della zona passi anche dalla Polisportiva. E' impossibile svincolare il tema del palazzetto - e ogni valutazione sulla ricerca delle risorse per sistemarlo, o rifarlo - dalle riflessioni sull'area della città in cui si trova. Un'area, ricordiamolo, sui cui terreni ancora della Polisportiva si ragiona da tempo riguardo all'edificazione di uno studentato, sulla cui possibile realizzazione sono già in piedi importanti accordi preliminari tra privati. Prefigurando in parallelo, per la Polisportiva, l'idea già emersa in altri tempi della costruzione di una nuova palestra come soluzione definitiva, in cui convogliare tutte quelle attività che già oggi si svolgono in ambiti diversi dal campo centrale ceduto al Comune, e avere così una propria casa che non sia più il palasport. 

Riconfigurata diversamente la valle di viale Sclavo, a quel punto un nuovo impianto cittadino per l'attività di vertice, il nuovo palazzetto dello sport, avrebbe bisogno anche dell'individuazione di una differente zona della città in cui sorgere, laddove le chiacchiere portano, in via esemplificativa ma non esaustiva, a soluzioni nell'area di Cerchiaia o Ruffolo-Renaccio.  

 

E quanto costerebbe costruire un nuovo palasport? Praticamente impossibile sotto i 7-8 milioni. A Ferrara ne hanno spesi 9 per uno da mille posti, a Pistoia 16 per uno da 1.200, a Bergamo 13,5 per uno da 2.500. E' evidente che a Siena servirebbe una capienza maggiore, tanto più per le linee guida che per rendere sostenibile un impianto impongono di pensarlo non solo per le partite ma anche per altri eventi. Senza guardare ai 50 milioni che stanno spendendo a Cantù, a Ravenna sono a 18 e al PalaWanny di Firenze sono stati attorno ai 10

Tanti, da scalare con tutti i mezzi a disposizione, dai mutui del credito sportivo ai finanziamenti regionali che guardando a questo tipo di interventi arrivano praticamente sempre, fino alle forme miste pubblico-privato con mille variabili a seconda anche di quello che si costruisce e come, di cosa e chi c'è dentro: questo è un altro capitolo ancora, complesso, che si può solo lasciare lì aperto. Ma ha senso immaginare che, al momento in cui si è condiviso il tema del palasport col ministro dello sport Abodi, la ristrutturazione possa non essere stato l'unico scenario portato su quel tavolo.   


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In ogni caso, l'idea di un nuovo impianto - al pari dell'idea originale di un PalaSclavo contenitore di tanti eventi, non solo sportivi - spingerebbe secondo logica anche il basket mensanino verso una direzione fin qui inesplorata. Pensando cioè di usare il nuovo palasport solo per le partite o quasi, e iniziando a ragionare su una casa propria in cui convogliare la quotidianità della prima squadra e del settore giovanile, magari anche la foresteria, che permetterebbe oltretutto anche di patrimonializzare la società. 

Una strada molto romantica porterebbe al Dodecaedro. Per farlo tornare funzionale servirebbero interventi da 50-60 mila euro: orientativamente allungare di pochi metri la platea della fondazione, magari spostando le panchine dalla parte della tribuna, per poter accentrare il campo e ricavarne uno di dimensioni regolari. Idea romantica appunto, ma alle condizioni attuali proibitiva, perché soprattutto col PalaChigi di fatto inutilizzabile (e sarebbe un'altra destinazione plausibile, se rimessa in sesto dopo i grossi problemi di infiltrazioni) il Dodecaedro è un impianto a cui la Polisportiva oggi non può rinunciare perché judo, volley e minibasket si ritroverebbero senza più una casa. A meno che non trovino spazio nell'agognata nuova palestra della casa madre, ma come detto parliamo di qualcosa che allo stato attuale non esiste. 

 

Con la stessa chiave di lettura, potrebbe guardare con attenzione alla nascita di un nuovo palasport anche la Virtus: se infatti il Costone una casa ce l'ha, e con pochi interventi mirati potrebbe arrivare agli 800 posti di capienza per giocare nel suo palazzetto anche la Serie B Nazionale, per la Virtus invece la propria sede storica è ormai un posto in cui da anni non può più giocare con la prima squadra, un impianto che è ampiamente insufficiente per ospitare le attività delle giovanili, e in più è un peso importante sui conti (attorno ai 150mila euro annui) che zavorra ambizioni più consone alle risorse raccolte attorno a sponsor di livello. 

In maniera simile ma differente rispetto alla zona del PalaSclavo, anche l'area del PalaPerucatti è di sicuro interesse per eventuali nuove destinazioni, private o pubbliche, non solo perché adiacente a zone di recente sviluppo immobiliare ma anche per l'immediata vicinanza al centro storico. Visionate negli ultimi anni già alcune aree, anche la Virtus potrebbe più facilmente pensare a una nuova casa se non dovesse servire per le partite (che andrebbero in un nuovo palasport cittadino) ma "solo" per ospitare l'attività soprattutto giovanile. 


Allo stesso modo - Dodecaedro, PalaChigi o altrove - un impianto solo per sé permetterebbe alla Mens Sana di raccogliere sotto un solo tetto tutta la propria attività quotidiana, visto che anche adesso con cinque squadre giovanili sta provando a fare più possibile in casa, dove è in coabitazione anche col volley, ma di qualche spazio ha bisogno, appoggiandosi come secondo campo di riferimento a Colonna San Marco. Il Costone stesso, invidiato dalle altre società per la possibilità di poter fare attività in un impianto nuovo e col "doppio campo", si ritrova a non starci così largo e a rischiare di aver bisogno di sfoghi ulteriori, con nove squadre giovanili (sei maschili e tre femminili) e tre prime squadre tra uomini e donne, oltre a un minibasket da 140 bambini (e stanno aumentando ancora). 

Ma è chiaro che il palazzetto di Montarioso resti il modello a cui guardare: una sistemazione analoga, con una gestione oculata degli orari, potrebbe avvicinare molto a una soluzione i problemi di spazio della Virtus che oggi, con dieci squadre del vivaio, si ritrova a regime a fare attività fuori da via Vivaldi per 18 finestre settimanali, minibasket compreso. Alcune al palazzetto del Coni ma soprattutto alla palestra di Ravacciano che ha in gestione. Che pure è funzionale anche per rafforzare il radicamento col territorio in una parte della città in cui essere la società di riferimento, soprattutto per i genitori che devono portare i ragazzi a fare sport, allo stesso modo in cui per ragioni simili lo è il Costone nella zona nord: un altro tema di grande interesse quando si parla di equilibri cittadini.


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Parlare del tema degli impianti significa parlare del palasport, la cui urgenza è evidente. E si collega con una prospettiva più ampia anche alla necessità di palestre in cui fare sport, e basket, in una città con specificità cestistiche palesi, capace di portare 3000 spettatori a una partita di Serie C e di muovere attorno a tre società più di venti diversi gruppi giovanili, con quel che significa in termini di necessità di spazi per attività con evidenti ricadute sulla comunità

Il terreno è fertile perché investimenti infrastrutturali sull'impiantistica sportiva siano il motore di sviluppo per innescare un circolo virtuoso capace di portare con sé anche molto altro, in termini di iniziative e interessi privati. Per questo è un tema quanto mai centrale dei prossimi mesi: perché la decisione sul futuro del palasport è comunque ineludibile, e perché comunque avrà delle ricadute. Quello che si deciderà di fare è anche una questione di volontà, e di spinta.  




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