Si parte. E senza offesa per i miti fondativi - detto da chi ha il
culto della storia, che rimbomba forte su queste pagine a ogni
orgoglioso richiamo alle radici -, l'appuntamento di due squadre senesi
di fronte in una finale promozione fissa una nuova asticella delle sfide
cittadine a un livello che neanche nel glorioso e leggendario 1966-67
si era in effetti toccato: allora non fu uno scontro diretto per salire
deciso da una serie playoff. Vista la storia di questi decenni,
l'incrocio di oggi tra Mens Sana e Costone, peraltro con rapporti di
forza ribaltati rispetto a 57 anni fa, francamente non ha più il senso
che aveva allora, cioè un bivio che cambierà la storia del basket locale
da qui in avanti. Anche perché c'è anche la Virtus al piano di sopra.
E
dunque più che una sfida all'altra, è per ciascuna una sfida a sé
stessa: per il Costone la gratificazione degli investimenti anche umani e
di competenze che hanno innestato su decenni di storia fortemente
identitaria il gusto di una nuova ambizione; per la Mens Sana la
consacrazione dell'annata del nuovo rilancio, mattoncino di oggi di una
visione in cui il respiro è fisiologicamente più ampio e guarda più in
là, più in là nei tempi ma anche in una dimensione che è l'unica in
città oggi a poter immaginare. Non è retorica, per niente, rammaricarsi
solo che sia il primo playoff che non vedrà a bordo campo né Ezio
Cardaioli né Giorgio Brenci, che questo romanzo l'hanno scritto
dall'inizio.
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Astraendo la finale dalla storia che c'è intorno, resta il basket. Il bello, a prescindere dal livello. Lontano dai piani partita seri, proviamo ad apparecchiare la finale partendo dai due precedenti. Quello che è successo in entrambe le partite, sapendo che l'elemento nuovo è se non succede stavolta. Quello che non è successo in nessuna delle due, sapendo che l'elemento nuovo è se stavolta succede. Quello che è successo solo in una delle due, provando a ricavare empiricamente quelle che già si sono rivelate essere variabili con un peso sul confronto. Sapendo, nel rispetto del gioco, che le tre, quattro o cinque partite che ne nasceranno saranno comunque tre, quattro o cinque storie diverse una dall'altra. Godiamocele.
BORSINO COSTONE
Le certezze: Banchi, Ondo Mengue e Nasello sono stati il tridente su cui Tozzi ha potuto contare sia all'andata che al ritorno. Bruno all'andata non ha brillato a livello individuale come nel ritorno (15 punti, 7/10) ma c'era nei momenti che hanno scavato il solco. Il play, rispettivamente 13 e 19 punti, ha trovato al ritorno (4/9) le triple che gli erano mancate all'andata (0/5) ma anche 4 recuperi. Il centro è stato il miglior marcatore (39 punti) e rimbalzista (22) complessivamente dei due precedenti e non c'era neanche bisogno di dirlo.
Chi è mancato:
Di Radchenko e Zeneli c'è stato poco bisogno all'andata (0/5 da tre in coppia) e relativamente poco hanno inciso al ritorno, col secondo in particolare condizionato dai falli. Se cominciano a spingere anche loro, danno una marcia in più.
Le variabili: Banchero, Terrosi e Bruttini. Il primo all'andata è stato uno stopper micidiale: dei 22 punti di vantaggio finale del Costone, 19 sono arrivati con lui in campo. Ma al ritorno i 12 minuti con lui sono stati i peggiori, e c'entra evidentemente il bavaglio più o meno efficace su Tognazzi. Terrosi all'andata è stato un fattore (anche) con tre triple, al ritorno lo hanno fermato il ferro (2/8 da tre) e i falli. In un ruolo più lontano dai riflettori, il capitano di contro ha saputo ribaltare le tre perse dell'andata in tre recuperi al ritorno.
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BORSINO MENS SANA
Le certezze: Difficile trovare un biancoverde che abbia fatto bene entrambe le partite visto com'era andata la prima. L'unico sopra un certo livello fu Iozzi, 12 punti con 3 triple e 4 recupero. E al ritorno ha giocato ai suoi livelli, seppure non tra i migliori della Mens Sana.
Chi è mancato: Già all'andata Marrucci e Puccioni sono stati forse i ragazzi che hanno patito di più l'impatto col derby. Senza riscattarsi al ritorno, quando perse e falli hanno frenato Marrucci, e Puccioni (1/12 da tre in due partite) ha chiuso col peggior plus-minus, -11.
Le variabili: Il tridente di Betti, per forza: Pannini-Tognazzi-Prosek. Tra la partita strapersa e quella quasi vinta è cambiato che il capitano è salito da 5 a 17 punti e da 0/4 a 4/8 da tre. E' cambiato che Vittorio è salito da 4 a 22 punti, trasformando l'1/10 al tiro con 2 falli subiti in 7/12 con 5 falli subiti (ma 10 perse in tutto!), e che Giangi (stando anche meglio) è salito da 3 punti e 7 rimbalzi con 3 falli subiti a 16 punti con 11 assist e 7 falli subiti. Evidente quanto all'andata per il Costone sia stato decisivo saperla preparare per togliere tutti e tre dalla partita. Che però al ritorno hanno saputo trovare le risposte. Con loro o senza sono per forza due mondi opposti.
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COSTONE, COSA HA FUNZIONATO
Qualità e fisicità per affermare la superiorità, proporzionalmente a quanto ci si avvicina a canestro: 57% da due all'andata e 53% al ritorno. Tenendo dall'altra parte la Mens Sana al 19% da due (!) all'andata e comunque al 39% al ritorno. E costringendola a 19 perse all'andata e 18 al ritorno. Con un momento della partita preferito, il ritorno dall'intervallo: è quando si è definitivamente spaccata la partita dell'andata, tenendo la Mens Sana a 6 punti nel terzo quarto e 14 in tutta la ripresa, ed è quando i gialloverdi hanno completato il parzialone al ritorno fino al massimo vantaggio di +12.
MENS SANA, COSA HA FUNZIONATO
Perfino nella serata nera dell'andata, i biancoverdi hanno vinto la battaglia dei possessi giocandone una decina in più dei gialloverdi, e leggermente di meno al ritorno. Grazie a una maggiore propensione alla corsa e all'energia, ma anche a un livello di attività superiore fotografato dai rimbalzi d'attacco: su un campione fisiologicamente elevato per i tanti errori contro la difesa del Costone, la Mens Sana ha saputo darsi una seconda opportunità di tiro una volta ogni quattro errori all'andata e addirittura il 40% delle volte al ritorno, per tenersi in vita di quantità dove non arrivava la qualità.
LE VOCI CHIAVE
A proposito di quantità contro qualità, al ritorno la Mens Sana ha saputo costruirsi una competitività ricentrando la difesa per riempire l'area con più efficacia. Con l'effetto non solo di spingere il Costone a scelte diverse, più votate al tiro da fuori, ma anche di trovare 29 punti da contropiede, e ribilanciare così con soluzioni ad alta percentuale una mappa di tiro che all'andata l'aveva vista trovare da oltre l'arco metà dei tiri (realizzati con un modesto 23%). Una maggiore pericolosità che, intercettando la propensione del Costone a far fallo pur di difendere il ferro, ha visto quasi raddoppiare anche i tiri liberi della Mens Sana, dai 19 dell'andata ai 34 del ritorno: e dalla lunetta, viste anche le diverse percentuali (salite al 70% dopo l'orribile 42% della prima) al PalaSclavo sono arrivati 16 punti in più che al PalaOrlandi.
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