Nel caleidoscopio di colori, in un tripudio di voci e suoni, eravamo lì, fronte come fontanella, tempie pulsanti, la camicia o la maglia incollata alla schiena.
Abbracciavamo tutti. Proprio tutti: familiari, amici, conoscenti, semisconosciuti. Non importa chi, per una gioia probabilmente mai provata fin lì. Una gioia da grandi sorrisi e qualche lacrima.
Un entusiasmo debordante come spuma di una birra rovesciata nella pinta senza alcuna accortezza.
Un entusiasmo genuino dall'effetto lisergico che per una sera vince ogni pensiero. Nessun dolore, alcun fastidio, niente paturnie. Solo la consapevolezza, finalmente la consapevolezza, di essere grandi, invincibili, straordinariamente primi. Sì, primi!
E poi, rotto ogni freno inibitore, via ai progetti di festeggiamenti fino a tarda notte. Di celebrazioni e di cene. Sogni di grandezza. Perché quando si ha finalmente ragione della paura di volare, l'istinto di puntare sempre più in alto è ancestrale.
Ecco, questi eravamo in quel preciso momento.
Dopo un'orgogliosa vita di retrovia, dopo essere avanzati forse lentamente ma a testa sempre altissima, passo dopo passo, con l'abilità di ritrovare l'equilibrio dopo gli inciampi, con la rabbia e la faccia tosta di rialzarsi dopo ogni caduta, a partire dalla tremenda purga dell'anno precedente.
A guardarci ora tripudianti, se per caso ci fossimo fermati a contarci avremmo avuto da sorprenderci, perché non avremmo avuto memoria di essere mai stati così tanti.
Lo avremmo imparato poi col tempo che le vittorie moltiplicano in un istante i numeri delle persone che si riconoscono in insegne e colori. Alcune di queste, da principio distaccate e presenti magari solo per curiosità o perché convinte da altri, finiscono per accasarsi, innamorandosi strada facendo di quel contesto e di quella comunità e finendo per sentirsene parte a pieno titolo.
Perché da che mondo è mondo polarizzare, affascinare, calamitare preferenze e indurre suggestioni è tra gli effetti della vittoria e del successo. Così è in politica, così nel mondo degli affari, ma pure nello sport e nella vita di relazione.
Vittoria, giubilo, esaltazione, partecipazione profonda, istintiva ed emotiva, coralità a tutto tondo, intesa nei suoi molteplici significati: in quale città più di Siena si ha la sublimazione di tutto questo?
In nessuna al mondo probalilmente, perché il Palio ne è il naturale metronomo e catalizzatore. Dà il ritmo alla vita ogni giorno dell'anno e in estate per due volte, ritualmente, è l'innesco di quella catarsi che per altre comunità è un evento raro o rarissimo, quando non addirittura sconosciuto o vero miracolo.
Il Palio. E Piazza del Campo il suo naturale e unanimemente conosciuto teatro.
Ma la cosa straordinaria in queste righe è che per una volta non si parli del Campo e delle contrade.
Perché questa storia si colloca nelle settimane anteriori all'estate e sebbene assomigli al palio, non è palio.
Sebbene la comunità di cui si parla assomigli tanto alla contrada, non è contrada.
E sebbene il luogo dell'evento sia colmo all'inverosimile e ribolla di passione, non è Piazza del Campo.
Primavera del '73, tufo in Piazza ancora prematuro.
Nelle radio Elton John rimbalza con Crocodile Rock e Daniel. Si alterna a Carly Simon e la struggente Vincent di Don McLean.
E' uscito da poco The dark side of the moon, un long playing destinato a fare la storia della musica leggera.
Nell'opinione pubblica tengono banco gli echi della fine della guerra in Vietnam e lo scandalo Watergate, che va travolgendo il Presidente Nixon e pone fine alla sua carriera politica.
Le agenzie di stampa rilanciano anche una notizia passata sotto traccia ma destinata a cambiare la nostra vita quotidiana e relazionale. Cita una chiamata telefonica che Martin Cooper ha effettuato da una strada di New York con un dispositivo portatile che pesa quanto un manubrio da palestra. Quella chiamata è diretta a un dispositivo simile localizzato qualche isolato più in là ed è il primo vagito della telefonia mobile. Di lì a tre lustri sarà un ruggito.
Nel microcosmo senese e più precisamente nel piccolo palazzo dello sport di Viale Sclavo, il 19 Maggio, 50 anni oggi, la sirena che segna la fine dei tempi regolamentari sancisce una vittoria sportiva che cambierà per sempre non solo le sorti della Polisportiva Mens Sana, ma anche quelle della pallacanestro cittadina, da sempre sottobosco di passione e coinvolgimento di tante Società, di tanti loro benemeriti e di un numero sempre interessante di giovani atleti. Un variegato e fertile movimento che per la prima volta si pone alla massima ribalta nazionale.
Quella sirena suggella un conto alla rovescia a una voce dei 3000 presenti: SETTE... SEI... CINQUE... QUATTRO... TRE... DUE... UNO... SERIE AAAAAAAAAAAA!
Un capolavoro sfiorato l'anno prima, come detto, dalla stessa Mens Sana, che sul campo di Bologna era stata battuta in gara secca dalla Gamma Varese.
Assai delicate per il sodalizio biancoverde le settimane seguenti quella cocente delusione, perché a lungo Ezio Cardaioli aveva considerato come molto probabile il passo d'addio dopo quattordici anni di conduzione tecnica quasi ininterrotta della squadra.
Solo la garanzia di avere mano libera e nessuna interferenza nelle scelte degli atleti e nel sistema di gioco lo avevano poi spinto a non chiudere il rapporto.
Avuta carta bianca si era adoperato per circondarsi di giocatori di cui potesse ciecamente fidarsi e che a loro volta ciecamente seguissero i suoi precetti cestistici.
A posteriori, ricordando quell'annata sportiva, in più di un'occasione parlerà di un immaginario undicesimo giocatore chiamato “armonia”. Quello che per lui era mancato l'anno precedente.
Il momento dei dubbi di Cardaioli non era stato però l'unico snodo complesso della stagione mensanina, che aveva dovuto fare i conti già in precampionato con il grave infortunio del giovane e promettente esterno Rinaldi.
A dispetto di compagini sulla carta più attrezzate – Roma, Cagliari e Caserta – il ben organizzato team senese si era comunque attestato al primo posto in classifica già in avvio di stagione, non l'aveva più mollato e a suon di risultati si era classificato primo solitario al termine del campionato.
Le 23 vittorie in 26 gare e una media di quasi 21 punti di scarto a partita, di gran lunga il maggiore tra le 28 squadre dell'intera serie B, danno la misura di una solidità impressionante e di un'assoluta consapevolezza della propria forza.
Ma per loro natura i playoff rimescolano le carte togliendo certezze. Se poi come quell'anno cadono a oltre tre settimane dalla chiusura della stagione regolare, tutto diviene oggettivamente impronosticabile.
Ecco perché alla vigilia del mini torneo per la promozione con Gorizia, Rieti e Vigevano i biancoverdi avevano solo da perdere. Nient'altro che da perdere.
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Provo a immaginare l'ansia dell'attesa.
Come provo a immaginare se le ferree certezze costruite in tanti mesi di stagione regolare possano essere state inconsciamente scalfite dalla paura di veder vanificato in una manciata di giorni quel campionato fin lì perfetto.
Spesso nelle chiacchiere tra amici e purtroppo talvolta anche nelle cronache e nei racconti di alcuni addetti ai lavori si parla in toni epici di un singolo episodio o di una stagione, e i protagonisti possono passare anche repentinamente dallo stato di eroi a bersaglio di critiche, talvolta anche feroci e ingiuste. Invece dovremmo ricordarci che pur sempre di persone si parla.
Per stare agli atleti e allo staff tecnico mensanino di quell'anno si parla di studenti, di impiegati di banca, di insegnanti di scuola. Persino di avvocati, ma comunque di persone prestate all'attività cestistica per qualche ora al giorno. Nessun professionista.
Si parla di single e di famiglie con abitudini, problemi, caratteristiche, preferenze, virtù e debolezze, e per ciascuno il proprio temperamento e il proprio modo di gestire la pressione, l'ansia e lo stress.
Ecco forse perché alla fine delle gare d'andata del gironcino, con Rieti di Dado Lombardi a punteggio pieno – 6 punti – e le altre tre ferme a una vittoria ciascuna, la sconfitta in terra sabina sollecitò un iracondo Presidente Bruttini ad alzare pubblicamente la voce e l'indice verso alcuni suoi giocatori, rei, secondo lui, di scarso impegno se non addirittura di tirare a perdere, tanto da minacciare di schierare in campo la squadra juniores nelle restanti e decisive tre partite.
Un j'accuse! che faceva il paio con quello un po' meno duro ma pur sempre estremamente diretto di una settimana prima, dopo la sconfitta di misura a Vigevano nella prima giornata della poule.
Certi particolari fanno capire che anche i successi, persino quelli storici, celebrati a distanza di decenni, non siano operazioni agevoli o godibili e ridanciane passeggiate sul red carpet, ma la sommatoria di tanto duro lavoro, di impegno fuori dall'ordinario e di sacrificio. E pure di bisticci, sfuriate, malumori e chiarimenti, divergenze di opinioni che raramente emergono, perché per lo più rimangono nel chiuso dello spogliatoio.
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Ma le stagioni sportive sono soggette anche a mille altre variabili.
Errori e intuizioni. Stati di forma che vanno e vengono, com'è naturale che sia. Tiri che entrano e fanno vincere una parita o si spengono sul ferro e fanno perdere la gara decisiva di un campionato. Perché la palla non la giocano delle macchine utensili guidate dall'intelligenza artificiale, ma mani di atleti che, in quanto persone, sono fallibili.
In un team sportivo si condividono o si dovrebbero condividere un progetto, degli obiettivi e dei valori.
Talvolta la vittoria corona questa unità d'intenti, ma nella maggior parte dei casi non accade nonostante la ferrea volontà, lo strenuo impegno, il duro sacrificio, perché a vincere è uno e uno soltanto.
Il torneo '72/'73 fu della Mens Sana dunque, dopo un percorso ad altissimo livello ma non scevro di insidie o conflitti. Un'affermazione spartiacque nella storia sportiva cittadina, come detto.
Se ciò accadde lo si deve a un gruppo di persone davvero coeso e dal forte imprinting toscano, che seppe rispondere coi fatti alle avversità, alla pressione e alle critiche ricevute.
Tre livornesi accolti delle colline, un lucchese, un certaldese ormai adottato, ma per il resto senesi. Soltanto senesi.
Come segno distintivo di quel successo tra le 28 squadre cadette, la Mens Sana giocherà tutta l'annata successiva, la prima in serie A, con uno scudetto tricolore sulla tuta da riscaldamento.
Un vezzo di grande effetto per persone orgogliose e amanti dei simboli come quelle senesi.
Un auspicio di successo per una comunità volitiva e mai doma com'era la Siena di allora.
P.S.
non dimenticate domani, 20 Maggio, di fare a Ezio Cardaioli gli auguri per quei meravigliosi 88 anni!
Le vogliamo bene Professore. Da figli putativi quali siamo, non può che essere così.
Gabriele Grandi
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