First reaction: shock. Per questo c'è voluto un mese e mezzo per tornare a parlare di Mens Sana. La prima reazione, appunto: andare avanti così, e restare impantanati ancora chissà quanto nella dimensione della Silver, che senso ha? Si dia alla Mens Sana un livello consono alla sua storia oppure si chiuda la prima squadra finché non si trovino le gambe (soldi) per garantire quel livello: il tempo di una sterzata forte per guidare la svolta prima che la spinta attuale sia portata fisiologicamente a esaurimento dal languire dove non può rilanciarsi.
Quindi rilancio o stop. Rilancio: trovare un diritto, più specificamente i soldi per il diritto e soprattutto per fare il campionato, per riposizionarsi più in alto, magari in quella Serie B che è dichiaratamente la massima aspirazione possibile a cui può puntare la Mens Sana con l'assetto societario attuale. Ma le risorse per puntarci subito? Ahia...
Oppure appunto lo scenario opposto della ritirata strategica, cioè basta con la prima squadra, se la Mens Sana non riesce a ritagliarsi quella dimensione che ha sempre avuto nella sua storia: ben prima dell'era Montepaschi, per cinquant'anni si sono vissute in B (terza serie) solo le quattro stagioni fine anni '80, per il resto mai sotto la Serie A2! Che c'entra una realtà del genere con la quinta serie?! Che senso ha restare impantanati qui? Cosa aggiunge alla storia della Mens Sana vincere un campionato di Serie C Silver al terzo tentativo? E viceversa cosa aggiunge alla storia della Mens Sana partecipare alla Serie C Silver senza centrare l'obiettivo promozione? Ecco. Da qui lo scenario di portare avanti solo l'attività giovanile e proseguire lì il lavoro per tornare a essere un'eccellenza, in un ambito diverso, in attesa di tempi migliori in cui rilanciare anche la prima squadra.
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L'idea di NON fare la prima squadra era stata più di un'idea nell'anno della ripartenza post Macchi. Anche perché gli sforzi titanici di Pierfrancesco Binella e Riccardo Caliani erano votati da mesi al salvataggio del settore giovanile e al traghettamento dei ragazzi nell'alveo della casa madre: era stata peraltro l'unica preoccupazione e indicazione espressa in quello sconfortante febbraio 2019 dall'amministrazione De Mossi, che mai si spese per la prima squadra e che viceversa chiamò in causa la Polisportiva per metterle in carico la prosecuzione dell'attività giovanile, per cui comunque si stava già adoperando per conto suo. Ben coerente con quella linea si rivelava ripartire con la denominazione pronta all'uso di Academy. A un certo punto l'idea sembrava quella di fare una prima squadra in Promozione, sì ("può esserci una stagione senza una Mens Sana al via di un campionato qualsiasi?"), ma come valvola di sfogo delle giovanili.
Poi invece, mentre si affermò non senza strappi la linea di una ripartenza dalla Polisportiva invece che con una "Mens Sana dei tifosi" (tutta da verificare che però intanto era arrivata un pezzo in là nel "crederci"), nel frattempo la squadra per la Promozione si scelse di costruirla con una pioggia di elementi esperti, anche giocatori molto fuori categoria: perché quel campionato, invece di farlo e basta per dire che la Mens Sana era ancora viva (e tenere viva più che mai la fiamma con qualche idea emersa allora), quel campionato andava stravinto, e per una sconfitta al supplementare col Libero Basket si sfiorò lo psicodramma. Col Covid il salto di categoria arrivò perfino doppio, e tutti contenti. Tutti negarono di aver anche solo pensato di ripartire solo con le giovanili: s'era capito male. Ripensarci oggi sarebbe una scelta forte. Sconquassante. Ma semplicemente consequenziale alla riflessione: "Che senso ha andare avanti così?".
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Giustamente poi la prima reazione è rimasta la prima reazione, nonostante lo shock, e il mondo è andato avanti senza rotture. Comprensibilmente c'è da fare i conti con la realtà, che impone di mettere da parte utopie e grandi idealismi di fronte alla ragion di stato. Cioè: chiudere la prima squadra oggi, forse, estinguerebbe anche quella minima fiammella rimasta. Una cura che ammazza il malato, forse. Così quella risposta al profondo disagio di fine maggio con quel bivio da "lascia o raddoppia" (cioè ripartire con un diritto più alto o non ripartire per niente, con la prima squadra) è rimasta una questione filosofica probabilmente neanche mai considerata da nessuno. Proseguendo per inerzia. Inerzia ragionata eh: 4-5 conferme sicure, il resto da decidere per differenza in un mercato in cui aggiungere un paio di "bomboloni" per fare veramente una squadra per vincere la Silver (come l'anno scorso non era successo), oppure quei "bomboloni" devono essere il doppio in caso di ripescaggio in Gold (ipotesi gradita per carità ma neanche graditissima).
Avere una squadra di persone di Siena, di ragazzi cresciuti col mito della Mens Sana, coltivato magari anche sugli spalti del PalaSclavo, ha creato una comunione di anime e uno spirito di gruppo con i tifosi obiettivamente unico. La simpatia, e l'empatia, scatta automatica in questi campionati in cui si gioca per passione, in tribuna (e sui social) ci sono gli amici, le fidanzate e i babbi, è sotto gli occhi di tutti la dedizione di gente che la mattina ha anche un impiego diverso dalla pallacanestro e può capitare di ritrovarsela di fronte per strada o al bar o alla coop o sul luogo di lavoro... Gran parte dell'ambiente Mens Sana l'ha conosciuta solo ora che ci si è ritrovata, ma a onor del vero questa realtà è sempre esistita. Ed è la realtà di società come il Costone, o in altre epoche il Cus, il Colle Basket, l'Asciano... Ma siamo sicuri di comprendere cosa significhi innamorarsi di questa dimensione? La Mens Sana nella catena alimentare ha sempre avuto un posto diverso. Non è una colpa dei ragazzi che hanno onorato in questi anni il biancoverde, e che hanno saputo riempire delle loro doti caratteriali quel ruolo che questo periodo di storia mensanina ha offerto loro. Non è una colpa, è la realtà di oggi. E domani?
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Sono state, per coincidenza, anche settimane che hanno offerto anche l'occasione di gioire per tanti amici che hanno condiviso almeno una parte del loro cammino con la Mens Sana e hanno potuto celebrare i propri successi a livelli che ormai qui ci si sognano: la seconda Eurolega consecutiva di Ergin Ataman, Alessandro Magro allenatore dell'anno in Serie A, dove l'eccellenza senese è il fischietto Martino Galasso, Alessandro Cappelletti nominato miglior giocatore di quella Serie A2 finita con la promozione di Alessandro Ramagli, con Matteo Mecacci a raggiungere i playoff e Federico Campanella a conquistare la salvezza, mentre in Serie B miglior allenatore è stato nominato Michele Catalani che poi ha anche festeggiato la promozione e in queste ore approda nel club più importante d'Italia.
Un tempo, anche su queste pagine, è stato il momento dell'anno in cui si gonfiava il petto per dire quanto s'era stati bravi noi di Siena a partorire queste eccellenze, a trovarle, a formarle, a lanciarle (col rischio di far finire in secondo piano quanto ci hanno messo del loro per eccellere anche una volta andati altrove), insomma un modo per pensare e per dirsi che nel grande basket Siena c'era ancora. Oggi forse è arrivato il tempo per guardarle e pensare non a quello che la Mens Sana è stata ma quella che deve aspirare a tornare a essere, perché lo dice la sua essenza. I piani per tornare a livelli più alti non li fa l'orgoglio né la presunzione di valere altri palcoscenici, li fa la realtà di quello che ci si può permettere. Ma quei riconoscimenti sono lì a dire cosa è Siena, cosa deve essere. Una consapevolezza che porti a qualcosa di diverso dall'andare avanti per inerzia. Perché la ragion di stato impone di tirare il calcio che si può. Ma il momento in cui lo si accetta, e diventa una zona di comfort, invece dell'inguaribile e lacerante inquietudine di chi non ce la può fare a farsene una ragione, quello è il momento che dice che la Mens Sana è diventata un'altra cosa, rispetto a quello che è sempre stata.
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