“Stasera no Leo, babbo è stanco…”
“Ti preeeeegoooooo”
“Ti leggo un libro magari?”
“Nooooo la stoooriaaaaaa… Ti preeegooo”
“Va bene… Ma poi spegni la luce e dormi subito, intesi?”
“Siiiii!!!”
“Allora dove eravamo arrivati?”
“Gli uomini cattivi erano stati cacciati dalla città, però
la squadra era finita giù giù in fondo a tutte”
“Ah già… La promozione… Che storia quella… Beh Leo, ci sono
dei momenti in cui la vita picchia davvero duro, ti può mettere in ginocchio e
lasciarti lì se non provi a rialzarti e continuare ad andare avanti. Questo è
quello che è successo dopo che gli uomini cattivi se ne andarono. Ci guardammo
intorno cercando un modo per rialzarci, ma potevamo contare solo su di noi
ormai. Non c’erano più soldi, non c’erano più promesse. Solo noi.
Proprio da questo nacque una squadra di giocatori che erano
prima di tutto tifosi, ragazzi che l’avevano sempre seguita dagli spalti ora si
trovavano in campo con gli stessi colori. Non credo che la metafora della
redenzione di una società potesse avere un’applicazione migliore.
Tutti dicevano che sarebbe stato facile, che sarebbe stata
una passeggiata vincere quel campionato. Quello che non volevano capire è che se riparti
dal fondo di una buca profondissima, i primi appoggi che trovi per tentare la
risalita sono i più importanti. Ci furono alti e bassi, ricordo anche una
partita con tre supplementari...”
“Ora stai un po’ esagerando però”
“Vuoi che smetta?
“No no! Continua…”
“Una partita con tre supplementari dicevo… Pure persa perché non ci lasciavano mezzo centimetro per respirare. Ma questi momenti di difficoltà a qualcosa servono, ti compattano, ti rendono più forte. E così fu anche per la squadra, che piano piano cresceva e diventava più sicura. Anche tutti quei ragazzi più giovani, che all’inizio sembravano destinati a essere spazzati via da un campionato in cui tutti gli avversari sono più grossi ed esperti, cominciarono a prendere le misure. Iniziammo a vincere, tanto e bene, arrivando alla fine della stagione regolare da primi, testa di serie dei playoff.
Per una città che fino a non troppo tempo prima era abituata
a vedere i grandi palcoscenici non è facile riabituarsi a una vita così in
piccolo. Eppure il suo pubblico, il suo zoccolo, la squadra continuava ad
averlo, e nei playoff aumentò. Più andava avanti e più gente arrivava a palazzo.
Si sa… Le vittorie piacciono.
Arriviamo alla serie finale, con due vittorie possiamo
riassaporare un po’ di vera felicità dopo anni di delusioni, tradimenti e
amarezze. Pensa cosa poteva passare per la testa di quei ragazzi. Era il
campionato di Promozione, è vero, ma era la loro squadra. Anche quando avevano la
tua età sognavano un momento del genere.
Le persone a palazzo aumentano ancora, non sono quelle dei grandi momenti del passato, ma sono comunque TANTE. Ci sono dei giorni in cui ci senti l’elettricità dentro a quel palazzetto, senti il momento, la pesantezza di ogni attimo. È difficile da spiegare a parole… Non so se un giorno avrai la fortuna di capire di cosa sto parlando, spero di si…
Prima partita, giochiamo in casa: primo quarto strappiamo e
andiamo sul +15, vinciamo facile facile. Troppo facile forse. In gara 2 infatti
non ci capiamo nulla. Tabula rasa, sembra che ci siamo anche scordati a che
sport dobbiamo giocare. Ci asfaltano senza pietà, una sconfitta come non si era
mai vista in stagione”
“Quindi hanno perso tutto?”
“Calmo. C’è gara 3, la finalissima. Ci giochiamo tutta la
stagione in 40 minuti. Ed è tirata, cavolo se è tirata. Volano botte, di quelle
vere in campo, nessuno vuole cedere un millimetro contro l’altro. La squadra
per fortuna si ricorda come si gioca e questo è già qualcosa, ma comunque ogni
quarto finisce in parità, una roba assurda. Fino all’ultimo quarto,
noi proviamo ad allungare un po’, ma loro ci riprendono sempre. Entriamo nei
minuti finali, ancora pari e i ragazzi a malapena ormai hanno la forza per
passare la metà campo. Perdiamo una brutta palla a pochi secondi dalla fine e
loro segnano un canestro facile per andare sopra di due..”
“Quindi hanno perso?”
“Le devi far finire le storie… Altrimenti mi zitto e racconti
tu”
“No no, continua, scusa…”
“Dicevamo, siamo pari nei minuti finali…”
“L’hai già detta questa, sono sopra di due gli altri”
“Giusto, sono sopra di due. Rimessa per noi, il tempo corre, possiamo fare solo un’ultima azione. Tictoc tictoc tictoc, un blocco, tictoc tictoc, un altro e vediamo uscire a tutta velocità fuori dalla linea da tre punti questo ragazzetto, che poi era il capitano, prende la palla in mano, tictoc tictoc tictoc, la spara verso il canestro cadendo tutto di lato, più che un tiro il lancio di un giavellotto, tictoc tictoc tictoc… Solo rete.
Puoi immaginare il palazzo, il boato, le grida. Lui che
corre via mentre tutti i compagni lo inseguono con le lacrime che montano ogni
momento di più. Qualcuno non sopportò più la vista della curva vuota e corse a
riempirla di striscione e canti.
In mezzo al campo gli abbracci e la gioia per una vittoria che forse non sarà quella che ha scosso gli almanacchi della storia, ma forse proprio per questo motivo tutti noi l’abbiamo sentita un po’ più intima. Un po’ più nostra.
Ora però tu dormi, capito?”
“Babbo mi piacciono le fiabe, domani me ne racconti altre?”
***
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