mercoledì 6 novembre 2019

Oggetti smarriti: La fascetta di Shaun

Io non sono un semplice oggetto. Io sono un simbolo. Ho giocato più partite io di tanti giocatori blasonati di serie A; presenza discreta, ma non troppo. Visibile ad un occhio attento anche dai terzi anelli, sono ben presto diventata un preciso punto di riferimento, assieme ai capelli che mi sovrastavano, per poter riconoscere il tipo che mi portava in giro per i parquet: io sono la fascia di Shaun Stonerook. 
  
Lo ammetto, mi sento una privilegiata, perché ho sempre avuto una visione perfetta di tutto ciò che avveniva in campo, tranne quando, dopo un rimbalzo, la chioma leonina poteva oscurare la vallata. Ne ho viste tante, tantissime, in ognuno dei prestigiosi palcoscenici cestistici in cui ho avuto la possibilità di esibirmi. Tuttavia ho capito subito che, sia che fosse un’amichevole, sia che si trattasse di una Final Four di Eurolega, per Shaun l’impegno mentale e la voglia di vincere erano esattamente le stesse. Lo testimoniava la naturale capacità di pensare rapido, efficace. Mi sembrava quasi di sentirle le ‘celluline grigie’ in movimento sotto la calotta cranica: un’attività continua, frenetica. 
 
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A volte avevo la netta impressione che il capitano fosse venuto in possesso prima, per vie traverse e molto probabilmente trascendenti, dei video delle partite che stava giocando, tanto era spiccata la capacità di anticipare le mosse degli altri. 

Come ad esempio quando, in quell’indimenticabile semifinale di coppa Italia del 2009 contro Treviso, Shaun, forse pensando che al posto delle assi di legno ci fosse l’acqua di una piscina, si rese protagonista di uno dei tuffi più memorabili della storia dello sport. Non ricordate? Vi rinfresco la memoria, cosa che, oltre a detergere, ormai mi riesce benissimo. Mancano 2 minuti alla fine del match, con la Mens Sana avanti di 75 a 70. Treviso però ha la palla in mano e si appresta a giocare il possesso più importante della partita. DaShaun Wood (vedi com’è strana la vita: basta mettere un Da davanti a un nome e cambia tutto) prova un tiro allo scadere senza considerare i grattacieli che si ritrova davanti, ovvero Eze e Stonerook. Risultato: nemmeno il ferro. 
C.J. Wallace, con un guizzo da giocatore esperto, intuisce la traiettoria e salva la palla prima che esca, ma non può far altro che crossare in mezzo per il solito Wood. Il malcapitato nativo di Detroit non fa nemmeno in tempo a vederla e già infinite mani si gettano su di lui e gli strappano la sfera, che ribelle si avvia verso le tribune. A questo punto, il genio. La testa che sto cingendo si accende, le gambe scattano, il corpo decolla, i riccioli fluttuano, la mano destra smanaccia verso TMac per il più improbabile ma efficace degli assist. Canestro in transizione e partita in ghiaccio. Siena vincerà anche finale e coppa, Shaun il titolo di Mvp. 
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Per gli estimatori del genere, non può non tornare alla mente il bis del 2011. Altro giro, altro balzo verso l’ignoto che si trasforma in una scalpellata di Michelangelo: questa volta vale uno scudetto. Se non ricordate, scrivete alla casella postale in quel di Cantù oppure a quella di tale Leunen Maarty, che di sicuro sa a cosa mi riferisco. Se andassi avanti a parlare di giocate profetiche, faremmo notte. La chiosa dei miei ricordi la voglio dedicare al lato umano di Shaun, che non sempre veniva fuori in maniera eclatante, ma si vedeva eccome. Lo vedevano, ad esempio, gli occhi di tutti i ragazzi disabili a fondo campo, che erano i primi e gli ultimi ad essere salutati dal capitano. Ogni volta. 

Forse è meglio che torni nell’armadio, altrimenti a forza di memorie mi scende la lacrimuccia, e Shaun mi vuole asciutta per la partita di golf

P. S. Lo so, lo so, non ho parlato di quella volta che Gentile… ma sto cercando anche io di disintossicarmi dal ricordo.



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