La pallacanestro è uno sport dinamico, bisogna saper fare un po’ di tutto. Si deve essere forti ma anche veloci, rudi ma anche aggraziati, saper correre ma anche danzare. Talvolta, galleggiare. Ergo, è indispensabile stare comodi. Provate voi a fare un giro in palleggio a tutta velocità seguito da penetrazione fulminante con indosso un paio di jeans attillati. E dunque, se di stare comodi si tratta, chi ci portava e ci porta ancora può senza dubbio essere preso a modello. Sì perché noi, in quanto pantaloncini XXXL di Lester Bo McCalebb, in questi giorni sul punto di tornare in pista in Europa, a Fuenlabrada, per nuove scorribande sui parquet.
Fin da piccolo le gambe di Bo andavano ad un ritmo superiore alla media; musica techno paragonate alla mazurca dei pari età. Lo vedevi in campo portar su la palla con un ball handling sopraffino, le spalle dritte e la parte di sotto del corpo che mulinava più delle zampe dello struzzo Beep Beep. È per questo che ci ha scelti. Noi, per la nostra innata discrezione, abbiamo sempre cercato di assecondare movimenti fulminei delle sue gambe, senza opporre inopportune resistenze, spesso anche nascondendole all’occhio indiscreto del difensore che tentava di intuire il successivo cambio di direzione. Quante caviglie avversarie sono saltate davanti a noi. In cambio, Bo ci ha portato a spasso per i campi di tutta Europa.
Tuttavia, se ce lo domandate, fatte salve le partite con la nazionale macedone, quando eravamo accolti in patria da eroi nemmeno fossimo gli Avengers e quando McCalebb era diventato McCalebboski, gli anni che ricordiamo con maggior piacere sono quelli alla Mens Sana. L’esperienza a Belgrado era stata esaltante, con le prime Final Four e l’accesso al gotha del basket europeo, ma niente a che vedere con la qualità della vita e con l’organizzazione mensanina. In quella memorabile stagione 2010/2011, la prima in biancoverde, ci siamo talmente divertiti che per Bo lo scudetto e il titolo di MVP delle finali sono solo state solo la diretta conseguenza del perfetto meccanismo che la squadra incarnava. Durante le finali contro l’allora Bennet Cantù, il coach avversario (un tal Trinchieri, ci pare di ricordare) ogni volta che vedeva le gambe di Bo entrare in modalità decollo sbuffava e si metteva le mani sui fianchi, mentre il difensore aveva già una splendida visuale sulla nostra parte posteriore.
L’anno dopo, per molti versi, ancora meglio. Con Shaun, Rimas, David, Nikos e Ksystof parlavamo esattamente la stessa lingua, talvolta non c’era nemmeno bisogno di usare la bocca: sembravamo gli istruttori di un corso avanzato di telepatia. Era il 2012, sembra passato un millennio. Tra i tanti flash che ci tornano alla mente di quella splendida annata, due per noi hanno un posto speciale nel cassetto dei ricordi più cari. Il primo è la partita in casa contro l’Olympiacos nei playoff di Eurolega, quando Siena, già con le spalle al muro, aveva solo la vittoria come opzione.
Nel primo quarto i greci partono all’arrembaggio; il coach, Dusan “simpatia” Ivkovic vuole subito mettere in chiaro che la sua squadra è a palazzo per vincere. Ci vogliono un paio di zingarate del ‘nostro’ per riportare la parità e far cambiare strada al match. Da lì le cose sembrano andare meglio, con la Mens Sana che prende il ritmo giusto e comincia a segnare a ripetizione. Ma quella sera i biancoverdi fanno un errore che di solito non commettono mai: alzano le mani dal manubrio troppo presto. Quelli del Pireo in un fiat rosicchiano punto su punto, e alla fine, dopo il libero sbagliato da Rakocevic, hanno addirittura l’ultima palla in mano per tirare e per vincere. Peccato non aver fatto i conti con il genio unito alla rapidità. Printezis, uno che non pecca certo di mancanza di autostima, sente che dopo il rimbalzo può essere lui a portare di là la palla, magari prefigurandosi anche un bel tiro alle scadere e il gusto degli allori che ne deriverebbero. Prima del centrocampo però, nascosto sotto le foglie, spunta il n. 4 di Bo, che recupera palla e chiude la contesa nel delirio generale.
Il secondo scatto di quella stagione è Gara 1 della serie finale contro Milano, con la compagnia del capocomico Scariolo decisa subito a fare il colpaccio. Siena, che era sempre stata avanti, inizia nell’ultimo periodo ad accusare la fatica e a vedere doppio. Il punteggio, a 2’ dalla fine è 79 a 73 ma Milano è molto più lucida e recupera forte in ‘acqua 4’. Cook, che ha in mano le chiavi della squadra, vede lo spazio e si butta dentro, sicuro di arrivare facile al ferro e accorciare ulteriormente. La sua unica colpa è credersi più veloce di McCalebb, che prende l’ascensore, va all’attico, stoppa e fa suo il pallone. Poco dopo, dall’altra parte del campo, anche Gentile e Melli sperimenteranno il vero significato del termine verticalità; il primo non vedrà nemmeno partire Bo, il secondo verrà posterizzato senza alcuna mercè. Gioco, partita, incontro. Seguiranno poi un altro scudetto e un altro stra-meritato titolo di MVP.
Insomma, finché dura, accompagnare le gambe alla nitroglicerina di Bo McCalebb in giro per parquet è quasi più divertente di avere tra le mani, ogni sera, un biglietto gratis per le montagne russe.
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