Il Curioso Caso di Andrew Joseph Pacher si fa ancor più misterioso, analizzando gli approcci alle sue ultime gare: 2 punti nei primi 20 minuti contro Latina, 0 nei 2 quarti iniziali di Cassino, 0 nei primi 12'47" della vittoria casalinga contro Trapani, ancora 4 punti soltanto nel primo tempo luci e ombre – diciamo così – di Scafati. Il riferimento al celebre film non è casuale, poiché A.J., come il Benjamin Button della succitata pellicola, appare rinvigorire col passare dei minuti sulla lancetta del cronometro, dopo partenze lente, per non dire proprio avvolte dal più completo anonimato. Ma rimaniamo sul rendimento generale, provando a capire il perché – se esiste – di tale flessione di uno degli acquisti più sbandierati dell’estate.
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Nel tabellino di Pacher sono ben 2,2 a sera i tiri in meno che si prende rispetto alla stagione scorsa alla Viola. Diventano -3,6 se consideriamo quella, 2015-16, in cui vestiva la divisa di Legnano. Sono aumentate invece, all’interno del volume totale, le conclusioni da oltre l’arco dei tre punti, mentre è diminuito il numero di viaggi in lunetta: -1,6 tiri liberi a sera. Per completezza di informazione, è opportuno considerare anche come abbia visto scendere leggermente i minuti d’impiego nelle mani di coach Moretti.
A questo punto, occorre già mettere sul piatto due o tre cosine, come inevitabili premesse. La prima, banale, è che non si giudica un giocatore esclusivamente dal numero dei tentativi di tiro. Lungi da noi sottovalutare tutto il resto delle abilità, non meno nobili, che è possibile ammirare su un parquet. Seconda cosa, esistono infiniti modi in cui i contributi dei singoli giocatori si legano fra loro per determinare il risultato di una squadra. Infine, nel passaggio da una società all’altra, da una città ad un’altra, da un sistema acquisito ad uno da imparare, può cambiare il mondo.
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Senza scomodarci ad andare a ritroso fino ai tempi di Dayton, in Ohio, alla Viola Reggio Calabria Pacher aveva un ruolo più centrale. Non che mancassero i buoni (quando non ottimi) giocatori: i risultati sul campo della squadra restano ad oggi non peggiori di quelli della Mens Sana attuale in proiezione. Soprattutto quando l’ascesa di Baldassarre ha definitivamente panchinato Benvenuti, A.J. era il titolare del ruolo di centro della squadra reggina.Nel senso che fungeva proprio da perno dell’attacco nero-arancio. D’accordo, un 5 atipico, in grado di aprire il campo grazie alla pericolosità nel tiro da fuori ed all’agilità nel mettere palla per terra, l’abbiamo ripetuto fino alla noia. Quello col numero 2 sulle spalle delle immagini sotto però rappresenta un’ulteriore evoluzione del concetto verso il suo estremo.
Nella prima azione del PalaMangano, dopo aver bloccato al gomito Morais, Pacher si apre per fare da sponda e far arrivare la palla all’esterno angolano, che nel frattempo ha occupato il post basso. Dopo un altro blocco portato a Marino, il lungo si allarga sul perimetro (flare), invece di tagliare dentro l’area. Con la palla che viene ributtata fuori infine, si sposta sul lato per creare spazio e mettersi in visione per l’eventuale scarico. Conclusa l’azione, del pitturato il nostro non ha sentito neppure l’odore stantio.
Di movimenti così, Pacher ne ha piena la videoteca personale della casa in Ohio. Anche Marco Calvani a Reggio, 12 mesi fa, chiedeva al suo lungo saltuariamente di portare fuori l’avversario diretto per creare nuove opportunità per sé ma soprattutto per i compagni. Quella che allora era utilizzata come arma tattica, per attirare gli altri fuori dalla loro comfort zone, variando il tema, appare diventata oggi, nello scacchiere di coach Moretti, una piacevole abitudine.
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Qualcuno aveva tiepidamente accennato alla preoccupazione che appaiare due figurine simili nelle abitudini, quella di A.J. con quella barbuta di Poletti, potesse non essere così automatico. I due lunghi di Siena non hanno le stesse caratteristiche naturalmente. Ciò che condividono è invece l'identica tendenza ad operare in zone del campo inconsuete per chi superi i 205 cm. Un conto però è girare alla larga dal pitturato una tantum, un altro farne la regola. Nelle stagioni passate, Pacher ha sempre alternato le due dimensioni, interna ed esterna, del suo gioco, dimostrando di essere a proprio agio nell’occupare zone del campo anche molto profonde.
Pacher, in maglia Metextra, parte da dentro per portare un blocco che favorisca l’uscita del compagno sul lato. Prima di dirigersi in punta a bloccare nuovamente un esterno, torna a bagnare un piede nel pitturato. Gioca quindi a due con Passera e corre ad occupare una posizione profonda, aprendosi per il passaggio. Nello sviluppo dell’azione, rimanendo nei pressi del ferro, può sfruttare la penetrazione con scarico di Agbogan per la schiacciata imperiosa. Un lungo come A.J. di 208 cm, dotato di gioco verticale e mani veloci, vive anche di palloni volanti recapitati in area dalle incursioni dei compagni. Come una specie di Eurostar, a un determinato momento dell’azione, passa e pulisce tutto, trasportando magicamente il pallone in fondo al nylon della retina.
Ebbene, vederlo agire lontano da queste zone predilette del campo per lasciare spazio al post basso degli esterni o al “rollante” Poletti, mette un po’ di nostalgia. Chiaramente lo staff mensanino ha i suoi buoni motivi per rinunciare a tanti minuti di Pacher orbitante nei pressi del ferro. Come raccontato altre volte, liberare l’area, stanando i corpaccioni che abitualmente la popolano, offre notevoli vantaggi in termini di spazi e angolazioni. A maggior ragione, conviene starne fuori, se il compagno di reparto mostra di gradire di tanto in tanto il ritorno al corpo a corpo sotto le plance.
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La presenza di uno come Poletti da un lato toglie a A.J. l’incombenza di occuparsi per 30 minuti del più spigoloso degli altri, dall’altro finisce necessariamente per pestargli i piedi in attacco. Ancora a Reggio, durante la stagione passata, il numero 2 era molto più coinvolto come bloccante in situazioni di pick&roll centrale. Alla Mens Sana deve invece spartirsi tali possessi con il compagno che indossa lo 0.
Esiste una legge non scritta nel basket, suggerita dall’attento Shaq, secondo cui soltanto rifornendo periodicamente di palloni il proprio centro, proprio come si fa con l’osso per il cane, si può ottenere in cambio il pieno coinvolgimento di un giocatore che, per ruolo, tende ad estraniarsi, non avendo di partenza la palla in mano. Può darsi che il contributo a scoppio ritardato di Pacher in questo inizio di partite dipenda proprio dalla sporadicità con cui sembra uscire il suo numero dalla ruota degli schemi del coach. Non appena riesce a mettere a segno la prima giocata di energia infatti, il ragazzone si accende come un fuoco d’artificio (si veda il secondo tempo contro Latina.) Come accennato sopra, entrare nei nuovi meccanismi richiede del tempo. La seconda azione, sempre di Scafati, esemplifica un paio di concetti snocciolati fin qui.
Dopo aver bloccato per Morais, la prima ed unica preoccupazione di Pacher è quella di andare ad appostarsi in angolo. Carlos gioca il pick&roll centrale con Poletti, Ranuzzi e Marino si mettono in visione ai lati per lo scarico, A.J. è fuori dall’inquadratura. Sulla riapertura dello 0, la palla gli arriverebbe anche, ma Pacher ha i piedi fuori dal campo.
Con questo non vogliamo dire che A.J. venga dimenticato in un angolino, col rischio di mandare in malora cotanto talento. La sua dose (inferiore rispetto alle abitudini) di post basso e tagli centrali o lungo la linea di fondo sarebbe prevista dal piano partita. Come Pacher sta impiegando un po’ a indossare il nuovo abito pensato per lui dal coach, allo stesso modo i suoi compagni non sembrano aver pienamente compreso come servirlo. Il fatto poi che Marino non stia ancora girando al massimo contribuisce alla carestia di ossa dei primi tempi dell'americano.
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Un particolare in grado di illustrare l’impiego differente che si sta facendo a Siena del lungo ex-Viola Reggio Calabria ci è offerto dalla posizione che va ad occupare nell’attacco contro la zona.
I due lunghi biancoverdi si scambiano in lunetta. Poletti va a bloccare Morais. Pacher è incerto sul da farsi e mentre il gioco si dipana altrove, rimane in una zona del campo in cui risulta abbastanza innocuo. Il ruolo di A.J. contro la zona non è sempre così marginale ovviamente. Nulla a che vedere tuttavia con quando al PalaCalafiore puntava i gomiti in mezzo alla lunetta, tagliava fuori il centrale alto della zona e con una sbracciata se ne liberava per raccogliere la palla dalla spazzatura e fare la voce grossa a centro area. Oltre a posizione e movimenti, a marcare una differenza piuttosto netta tra le due interpretazioni è l’intensità e la caparbietà con cui ha eseguito il movimento.
Fare un utilizzo diverso del proprio lungo non significa non saperne sfruttare appieno le capacità. Anzi, abbiamo visto in precedenza quali inesplorati scenari tale scelta sia in grado di aprire. La squadra ha dimostrato di apprezzare la disponibilità di A.J. ad adattarsi alle caratteristiche dei compagni con cui divide il parquet. È innegabile però che, fino a questo momento, la sua efficacia nell’influire direttamente sull’esito di una gara sia in qualche modo scemata rispetto agli standard a cui aveva abituato fino all’anno scorso. O comunque, si può affermare, senza paura di essere smentiti, che stia arrivando a intermittenza.
Quali che siano le reali motivazioni, lo staff mensanino ha il tempo e le capacità per lavorarci. Non ce ne vogliano il coach e i suoi vice, se ci siamo permessi di provare ad articolare goffamente alcune di queste argomentazioni. Come disse una volta Enzo Iacchetti: "È una questione di punti di vista: come gli aquiloni, che pensano che la terra sia attaccata al filo". Ecco, dall'alto (da lontano) abbiamo sbirciato quello che Moretti da terra disegnava sulla lavagna. Nel frattempo, la fiducia nel fatto che il ragazzo di Vandalia torni a gridare la sua passione al cielo con maggiore continuità, e soprattutto con accresciuta solerzia, resta forte.
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