Il pick&roll può essere considerato l’unità-base dei moderni attacchi delle squadre di pallacanestro: quello che in linguistica si chiama fonema, ovvero la parte minima, non ulteriormente frazionabile, perché sia percepibile; o il tempo di Planck, per coloro che avessero maggiore dimestichezza con la fisica, il più breve intervallo di tempo misurabile.
Dal pick&roll si parte per dare vita all’architettura di gioco. È utilizzato per innescare uno schema, per svilupparlo dopo un paio di movimenti o per concludere l’azione, quando l’attacco non sia riuscito a costruire nulla. Vedendo un buon blocco e come si comportano i protagonisti in campo, possiamo cominciare a discutere e fare valutazioni. Il basket è un fantastico micro-cosmo caratterizzato da cause ed effetti, azioni e reazioni che si susseguono continuamente.
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Esistono ovviamente svariati modi di difendere un pick&roll. La prima discriminante riguarda il tipo di situazione che presenta l’attacco: indipendentemente dal fatto che il lungo “rolli” verso l’area o si allarghi per il tiro (pick&pop) dopo il blocco, la difesa seguirà regole diverse a seconda della posizione del campo in cui si dipana il gioco.
Banalmente trovandosi a difendere un pick&roll laterale, potrebbe essere opportuno “congelare” il possesso sul lato stesso, costringendo gli attaccanti a rinchiudersi in angolo, magari con un raddoppio. Ma la componente principale di qualunque ricetta si voglia usare resta quella legata al fattore umano: la strategia scelta deve necessariamente variare in base alle caratteristiche tecniche ed atletiche dei giocatori di cui si dispone.
Potendo contare su lunghi versatili, dotati di buona rapidità di piedi e mobilità laterale, un coach potrebbe optare per una difesa aggressiva sugli esterni, con tanto di cambi difensivi. Viceversa, facendo perno su big men statici, i vecchi e cari centri di posizione, la decisione ricadrà su una scelta più conservativa, prediligendo il presidio e la protezione del pitturato.
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Scendendo dall’astratto di certi discorsi al campo, l’abbiamo già accennato trattando di Morais, quando la Mens Sana ha trovato di fronte lunghi agili negli spostamenti difensivi, quali Martinoni, Carlson o Baldassarre, gli esterni hanno faticato nello sviluppo del pick&roll. Quando invece si sono parati sulla loro strada i meno mobili Garri, Tuoyo, Gigli o Renzi, è andata molto meglio. Una nota a margine questa considerazione la merita poiché oggigiorno non di rado è possibile imbattersi anche in pick&roll piccolo-piccolo, senza necessariamente che sia coinvolto alcun lungo, ed allora il discorso cambia ulteriormente.
Ma lasciamo per il momento da parte quest’ultima ipotesi e concentriamoci sulle difese che ha incontrato Siena fin qui. L’opzione in grado di offrire i maggiori vantaggi per Morais e compagni è probabilmente quella di contenimento assoluto. Contro Rieti le guardie di Moretti hanno avuto gioco facile proprio per le caratteristiche del perno della squadra di Alessandro Rossi, ovvero Angelo Gigli. Il nativo del Sudafrica, con le sue primavere e il tonnellaggio, non è più in grado di correre appresso ad esuberanti esterni che lo chiamano anche molto lontano dal canestro. Probabilmente la difesa sul perimetro non è mai stata nelle sue corde, adesso il gap in termini di agilità è diventato insostenibile.
Nell’azione scelta a titolo di esempio, Morais sfrutta il blocco centrale di Poletti. Gigli, che difende l’uomo con la barba, nel tentativo di contenere l’attacco dell’angolano, fa alcuni passi di arretramento, drop si chiama, a sentire quelli bravi. Non potrebbe fare altrimenti. Qualora uscisse alto, nella migliore delle ipotesi sarebbe battuto facilmente in palleggio, mettendo comunque fra sé e Poletti troppo spazio per essere in grado di coprirlo successivamente con il recupero. Il difensore di Morais, Toscano, passa dietro al blocco e mal gliene incoglie. Lo perdoniamo: a Gaeta, casa sua, probabilmente non arrivavano i dvd delle partite del campionato portoghese. Carlos, che vive di palleggio arresto e tiro, non ha difficoltà a mettersi in ritmo ed inquadrare il canestro con il jumper.
In questo caso la difesa ha compiuto una scelta palese, ovvero quella di proteggere il ferro. Il comportamento di Gigli (obbligato) e Toscano invitava chiaramente il mensanino a prendersi quella soluzione, scoraggiandolo da ogni velleità di penetrazione. Sì, perché la difesa sul pick&roll presuppone sempre una scelta di campo piuttosto netta: il coaching staff decide fondamentalmente cosa lasciare all’attacco. Tutto non può essere parato. Di nuovo a seconda delle caratteristiche di attaccanti e, non di meno, difensori si preferisce concedere spazio sul perimetro oppure rischiare di dimenticare intenzionalmente qualche porta aperta verso il canestro.
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Diametralmente opposta è la strategia che ha adottato la stessa Mens Sana domenica scorsa per fronteggiare il pick&roll Clarke-Renzi, autentici mattatori del primo tempo al PalaEstra. Poiché l’ex-Pesaro è micidiale nel tiro dalla lunga distanza, fondamentale per cui oltre tutto non necessita di eccessivo spazio, la priorità della difesa di coach Moretti si è orientata sul non concedergli nulla, neppure un minimo spiraglio. Ovviamente per tutto quello che abbiamo detto, avere nel roster due lunghi come Poletti e Pacher permette di rischiare tale sbilanciamento a cuor più leggero.
La pressione di Prandin è altissima, tanto che il ragazzo venuto dall’Oklahoma è costretto a chiamare il blocco all’altezza del cerchio di centrocampo. La distanza (siderale) dal ferro non è (giustamente) considerata eccessiva da Poletti, in marcatura su Renzi, che esce aggressivo su Clarke, sbarrandogli la strada (hedge) per il tempo che basta a fargli credere di doversi liberare della palla. Prandin può passare tranquillamente dietro il blocco e tornare sul suo uomo. Probabilmente Bobo avrebbe inseguito Clarke sopra il blocco (scelta ancora più speculativa) se questi si fosse trovato più vicino al canestro. Nel frattempo, la collaborazione di Pacher, ruotato su Renzi (l’uomo di Poletti) dopo aver abbandonato Pullazi, impedisce al centro di sparare da tre.
In questo caso siamo andati oltre all’analisi del comportamento dei due difensori primari, accennando alla rotazione di un terzo.Possiamo così introdurre un concetto chiave dell’argomento trattato: la difesa sul pick&roll non è mai (o quasi) di competenza esclusiva di coloro che hanno in consegna il palleggiatore e il bloccante. Il più delle volte, sempre per le sopracitate caratteristiche dei giocatori da fronteggiare, gli allenatori allargano il sincronismo a tre, quattro, se non a tutti e cinque i giocatori sul parquet.
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Finora abbiamo visto una serie di situazioni che potremmo definire “di aiuto e recupero”, con marcature che variano temporaneamente per poi ritornare alla configurazione di partenza. Una delle armi più utilizzate, e che servono ad estremizzare ulteriormente i concetti sciorinati, è quella del cambio difensivo sistematico. Con questo stratagemma la Mens Sana ha lavorato ai fianchi gli alfieri di Trapani nell’ultima giornata, portandoli alle fasi conclusive del match visibilmente frustrati e presumibilmente in riserva.
Trapani prova a liberare Clarke dalla morsa della difesa, facendolo uscire dal doppio blocco basso. Siena ha però trovato l’antidoto al principale veleno amaranto. Sull’ennesimo gioco a due col compagno Renzi, Poletti (in partenza su Renzi) cambia, deciso, prendendo il play americano ancora molto alto. Il pericolo che si verifichi un mismatch assai spinoso per Siena, ovvero Renzi contro il più piccolo Prandin, viene scongiurato dalle altre rotazioni di squadra: arriva prontamente la collaborazione di Lupusor che prende in consegna il centro avversario, lasciando al compagno la marcatura di Pullazi (anzi, indicandogli proprio il nuovo obiettivo).
In conseguenza di ciò, Trapani dopo tanto movimento, non ha costruito alcun vantaggio. L’azione mostrata ha coinvolto il triangolo appena descritto ma anche gli altri due biancoverdi, Marino e Radonjic, erano pronti ad offrire il loro aiuto ed assumere quanto meno una posizione flottata.
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Dopo aver visto le implicazioni a livello di squadra, torniamo a focalizzarsi sul comportamento degli attori principali e sui diversi effetti che questo ha determinato sulle fortune della Mens Sana nell’inizio di stagione. Un allenatore attento come Mattia Ferrari di Casale non ha esitato a ricorrere al cambio sistematico, potendo impiegare su Morais i piedi veloci di Martinoni.
Il capitano di Casale conosce bene il rischio di concedere all’angolano anche soltanto mezzo metro per esplodere il setoso tiro dal palleggio, così si accoppia con l’esterno con la stessa aderenza di un francobollo. Morais, che di per sé tende ancora a sostare troppo a lungo con inutili palleggi sul posto, registra la difesa e si prende quello che gli viene concesso, e cioè la penetrazione. In questo caso è anche sfortunato. In molti altri, contro i piemontesi, ha sbattuto colpevolmente contro la difesa schierata.
La stessa cosa non può fare, per ovvie ragioni, il serafico Renzi. La conoscenza del gioco maturata in tanti anni di battaglie sul parquet lo esorta a mantenere un atteggiamento più coperto. Costretto a cambiare marcatura, finendo su Sanguinetti, subisce l’ennesimo palleggio, arresto e tiro in faccia della serata.
A giudicare dall’esito della gara con Trapani, avere in centro un giocatore grosso e conseguentemente stazionario, offre oggi più svantaggi che vantaggi. Soprattutto quando si giochi contro la Mens Sana, con la sua batteria di guardie molto abili e crearsi jumper dal palleggio e il reparto lunghi atipico e pericolosissimo da tre punti.
Buttando un occhio verso l’impegno di Scafati di domenica prossima, il frontcourt titolare della Givova non appare il massimo in termini di mobilità orizzontale. A giudicare dalla grande mole di rimbalzi che Goodwin tira giù ogni sera, si direbbe che non sia così abituato a portare in giro le sue treccine da guerriero uruk-hai per rincorrere gli esterni.
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