giovedì 24 maggio 2018

Come on baby, light my fire

Paolo Moretti ha il fuoco. Paolo Moretti è fuoco.
Il fuoco della passione. Dell'agonismo. Della sfida. Della competizione. Del confronto.
Il fuoco riscalda (con l'emozione, prima che con la ragione, il calore vince la rassegnazione).
Il fuoco si diffonde come un contagio (l'agitazione delle molecole si propaga, vincendo l'apatia).
Il fuoco non accende solamente, infiamma (quanta voglia di tornare a infiammarsi).

Il fuoco brucia chi - per ignoranza, incapacità o presunzione - non lo sa trattare. Ma avere un fuoco per provare a spegnerlo è stupido, avere un fuoco e sentirsi in difficoltà nel gestirlo vuol dire aver sbagliato. Il fuoco non è freddo, e neanche tiepido. Il fuoco non è buio e neanche toni di grigio. Paolo Moretti non è uno che passa di qui per essere insignificante. "Paolino il caldo". "Il caldo" si è capito perché. "Paolino" perché a Siena è di casa.

***

Ad Arezzo riuscì a scovarlo Luca Finetti, già abbastanza buono per essere lanciato sedicenne in prima squadra, la Mister Day di Ezio Cardaioli in B d'Eccellenza, faro anche di un'indimenticata nidiata giovanile di cui si fa sicuramente torto a qualcuno a citare solo Guerrini, Mancini, Cocchia, Bonci, Puccetti. Al prezzo di due miliardi di lire per strapparlo alla Libertas Livorno, se ne andò 18enne (e già abile e arruolato per l'azzurro) alla Glaxo Verona, da subito avversario della Mens Sana di Lombardi che risaliva i gradini del basket. A 22 anni lo volle la Virtus Bologna, dove vinse tre scudetti (l'ultimo rompendosi il tendine in finale) in quattro anni, mai sotto gli 11 punti di media della sua prima stagione bianconera. Attore protagonista al punto da mettere insieme 80 presenze in Nazionale, fino all'argento all'Europeo 1997.

Passando per il Peristeri e poi per la Fortitudo, era già il Moretti della seconda parte della carriera, quella che prima di chiudersi a Roseto in A2 con la grande stagione del rilancio (falciato poi da problemi di salute) lo vide anche ripassare da Siena, in uscita da Bologna: partendo alle spalle di Larry Middleton e Jimmy Oliver chiuse 7 volte in doppia cifra nelle 21 partite della stagione 1998/99, cominciata per la Mens Sana con Luca Dalmonte in panchina e finita con Dodo Rusconi all'11° posto (su 14 squadre, peraltro a pari punti con Gorizia penultima e retrocessa).

La sua terza volta a Siena è stata quando ha iniziato la sua nuova vita, cercando la realtà migliore per cominciare la carriera di allenatore. Non lontano da casa dei suoi, Arezzo appunto. Né dalle origini della moglie, che è di Colle Val d'Elsa. Partì dalla Virtus, nel 2001, la società dove lavorava Umberto Vezzosi che aveva conosciuto negli anni delle giovanili biancoverdi. Peraltro affiancato da Andrea Monciatti, assistente allenatore mensanino di questi ultimi tre anni, gli fu affidata l'Under 14, il gruppo 1988, quello di Marco Giuri. Rimase due anni e poi poco dopo l'inizio del terzo salutò tutti per andare ad allenare a Catanzaro una bassa B2, ma comunque basket senior.

La prima opportunità in A1 gliela dette a 35 anni il Basket Livorno, affidandogli nel 2005 la panchina di un certo Walter De Raffaele, di fianco a uno staff con Sandro Dell'Agnello e Federico Campanella assistenti, e g.m. Claudio Crippa, oggi agli Spurs: arrivò 12° (su 18). Il suo meglio, in una carriera in panchina dalle alterne vicende, l'ha dato a Pistoia, dove nel 2009 ha sostituito Maurizio Lasi (quanti nomi noti in questa storia), nel 2013 ha conquistato la promozione dall'A2 all'A1, nel 2014 è stato coach dell'anno in A, lasciandola poi nel 2015 per Varese.

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La carrellata su alcuni passaggi della sua carriera non è di maniera, ma valeva la pena farla per rendersi conto di chi arriva. Cioè un allenatore in questo momento di un livello superiore rispetto a quello attuale della Mens Sana. Attorno a questa osservazione ruota ogni tentativo di lettura della sua scelta, al di là della constatazione di quanto debba essere difficile oggi il mercato degli allenatori. Che la sua scelta sia arrivata per fede vedendo qualcosa o per incoscienza pur vedendo qualcos'altro, per visione o per ingenuità, opportunità o necessità, per convinzione professionale o per motivi personali, è sicuramente in prima battuta affar suo, ma anche di un popolo che dalla situazione attuale della Mens Sana non riesce a capire cosa aspettarsi.

Considerare la scelta di Moretti come una prima risposta sarebbe bello e utile, fin troppo semplice, ma significherebbe mettere insieme le pere con le mele, il campo con il fuori campo, e non è giusto nei suoi confronti dare alle sue scelte di carriera la responsabilità di dare risposte sui massimi sistemi. Parlerà il tempo (quello che si spera che dica è evidente) e, per quanto sia inevitabilmente tutto collegato, nel giorno di Moretti è giusto occuparsi di lui.

Della sua voglia di rimettersi in pista prima possibile, in una piazza importante, con la promessa di una squadra importante, abbastanza da chiudere un occhio sul -3 di penalizzazione da cui si partirà, pur avendo messo in moto gli avvocati. Senza entrare in valutazioni di merito che ci sarà modo di fare, è una strada tecnica sicuramente più centrata, nel presente e nel futuro, rispetto ai precedenti vani inseguimenti a senatori e padri della patria come Cesare Pancotto e Carlo Recalcati. Dev'essere una voglia forte, se Moretti ha giocato d'anticipo sulla roulette russa delle dinamiche di mercato che potevano aprirgli opportunità migliori ma anche no, per tornare quanto prima a fare quello che gli piace dopo la fine del rapporto con Varese e gli strascichi che ne sono seguiti. 

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In questi mesi è stato vicino al figlio Davide, indubitabilmente il miglior 1998 del nostro basket, quest'anno in Ncaa a Texas Tech dopo Pistoia, Stella Azzurra e Treviso. E' stato molto in giro a promuovere il camp che faranno in estate tra Rimini (17-23 giugno) e Ovada (29 luglio-11 agosto). L'altro figlio, Niccolò, 2004, l'anno scorso ha giocato a San Lazzaro. E poi c'è la moglie, Mariolina, sempre importante nelle scelte del marito, senza però che le radici senesi debbano essere lette in qualche modo, perché la carriera di Moretti anche da allenatore dice chiaramente che non ha mai avuto problemi ad andare in giro per il mondo, se si trattava di cercare la migliore opportunità per fare basket.

La sensazione che accompagna l'arrivo a Siena di Paolo Moretti è l'affinità di un'attrazione magnetica (senza, naturalmente e purtroppo, che questo sia di per sé un'indicazione certa su come andranno le cose). Carattere, temperamento, carisma. La personalità di un allenatore che in una piazza del genere può vestire naturalmente i panni del condottiero. La personalità di chi ha giocato con Danilovic e per Messina è quella, nel bene e nel male, di chi non ha bisogno di mandarle a dire ai giocatori. La personalità di chi non è accondiscendente rispetto a quello che a quello che si muove intorno a lui in società e al modo in cui viene messo in condizione di lavorare.

A qualcuno piace caldo. A Siena praticamente a tutti. Almeno a pelle, sperando che poi sotto ci sia anche tanta ciccia. Buon lavoro.



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