Se non fosse per le prime tre partite perse, con 4 vittorie
nelle ultime 7 partite la Capo d’Orlando di Giulio Griccioli – all’esordio da
capo-allenatore in Serie A – avrebbe una media da playoff. Il tutto nonostante
gli infortuni, il buco nell’acqua con la stella designata Flynn che non c’è più
e un organico che non pareva così competitivo (sicuramente a me, ma mi pareva
opinione diffusa).
Come altri ex mensanini, forse di più in quanto unico senese
in Serie A, sul blog avevo già parlato altre volte di Giulio Griccioli. Adesso
è sotto i riflettori del basket nazionale, e non c’entra niente che sia solo
dicembre (quando comunque ha già 8 punti di vantaggio sull’ultima in
classifica), perché comunque se lo merita. Riprendo qui alcuni stralci dell’intervista che
gli ha fatto un collega e che è uscita ieri sulla Gazzetta dello Sport, con passaggi
interessanti in chiave senese.
«Le tre cose più importanti nella vita sono la famiglia, la
contrada e la città. Chi è senese mi può capire. Nel Nicchio mio padre è stato
priore. Per 10 anni ho fatto l’alfiere in Piazza del Campo. Queste sono le mie
radici che mi porto dentro ovunque vada».
Lei è un prodotto della Mens Sana.
«Ho giocato e allenato alla Virtus Siena, poi nel 1998 sono
passato alla Mens Sana. Settore giovanile, fin quando Dalmonte non mi ha
inserito nello staff della prima squadra. Ho collaborato con Ataman, Recalcati
e Frates. Sono stato il braccio destro ed erede di Pianigiani come responsabile
delle giovanili. Ho attinto da tutti ma è innegabile che Simone e Luca Banchi
siano quelli che più mi hanno influenzato professionalmente. E poi, anche se
dirlo ora non è più di moda, devo molto pure a Ferdinando Minucci».
Siena era il top. Perché la lasciò?
«Ne parlai in modo franco con Minucci. Gli dissi che volevo
andare altrove per diventare un allenatore in grado di poter, un giorno, sedere
sulla panchina di Siena. Ora sono in Serie A, la Mens Sana non c’è più, ma il
sogno rimane. Dovesse tornare ai vertici, mi piacerebbe allenare nella mia
città».
In chiave senese, non credo non si possa apprezzare il
valore dato alle proprie radici. Scherzo del destino, e lo dice, è stata la
defaillance della Mens Sana – e di Montegranaro – ad aprirgli un posto in Serie
A, col ripescaggio di Capo d’Orlando. Così come credo che non si possa non
apprezzare il fatto che ci sia il sogno di allenare la Mens Sana, e la voglia
di inseguirlo al meglio, dietro la sua partenza da Siena. E non si può non
apprezzare il fatto che continui a considerare un sogno allenare la Mens Sana
anche oggi che i destini sono così distanti (lui è in A, la Mens Sana quattro
categorie più giù).
Considero una dimostrazione di spessore, forse da signore, spendere
una parola per Minucci adesso: non solo per i destini opposti (g.m. non proprio in auge, Griccioli in A), ma anche perché c’è un clima per cui sembra quasi
che a parlarne ci si sporchi. Farlo tempo fa, in contesti di adulazione
galoppante, sarebbe stato di una banalità fastidiosa: oggi molto meno. E
peraltro l’uscita di Griccioli da Siena non sembrò così gratificante (almeno alle impressioni esterne) come nella ricostruzione da
lui fatta nell’intervista, tornarci su così mi pare sinonimo di un
certo stile.
Naturalmente in città è stato un pretesto per tornare a
provocarsi tra minucciani, anti-minucciani, post-minucciani. Vabbè. Io ci vedo
un comportamento pubblico da uomo, senza evocare sindromi di Stoccolma o
vederci complicità nella fine della Mens Sana. Peraltro parliamo di un uomo di basket che mi risulta essere stato molto ascoltato nel momento della ripartenza estiva
sotto l’egida della Polisportiva. Abbastanza carne al fuoco per rimandare un
altro tema che credo abbia un suo interesse, cioè la grande esposizione
mediatica della Mens Sana, oggi che non è più in Serie A, mentre quando era al
top c’era la lamentela contraria. Mi è caro, ne riparlerò.
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