Parte il campionato di Serie A. E non può essere la stessa
cosa, per la prima volta dopo una vita senza Mens Sana. Per la precisione dopo
25 anni, perché allora la Serie A2 era sempre Serie A. E dopo 21 anni considerando
solo il massimo campionato. Nel frattempo la Mens Sana ha vinto 8 scudetti in
10 anni, di cui 7 di fila.
Volendo farsi del male a ricordare quel tiro di Janning alla
fine di gara-6 del 25 giugno, o quel +8 a 8’ dalla fine di gara-7 al Forum del
27 luglio, potevano essere 8 di fila. E soprattutto la Serie A, nel caso,
sarebbe ripartita senza i campioni in carica. I campioni in carica degli ultimi
8 anni. Pesante. Il fatto che ci si sia andati vicini e non sia poi successo ha
nascosto la polvere sotto il tappeto solo per chi ha la superficialità di
fermarsi alla buccia della questione.
In questi giorni si è sentita presentare la nuova Serie A
con parole di revisionismo storico e toni da rischio scongiurato e imbarazzo
sfumato. Senza capire che non è scaricando tutto sul mostro (e perseguirlo sarà
doveroso quando la giustizia accerterà delle responsabilità) che si cancellano
i peccati di un movimento. E non sto parlando - non qui, non ora - del “così
fan tutti” su cui si può scrivere un libro.
Parlo di cosa resta di un movimento che ha perso la sua
unica realtà di eccellenza dell’ultimo decennio, prima che Milano si sbloccasse;
l’unico club che in Europa, pur non vincendo, ha provato a tenere l’Italia più
in alto (4 volte tra le prime 4) più di quanto esprimesse il livello
qualitativo del movimento; l’unico programma in grado di imporsi come modello
di metodo di lavoro della sua scuola di basket. Non un primato tra tanti, un’unicità nel vuoto. Non
scalfita da distinguo (arbitraggi, pagamenti, conti) la cui legittimità si può
discutere a parte. Unicità se si parla di basket, di sport giocato.
Cosa resta di un movimento che ha perso una realtà del
genere? Non resta niente. Resta che negli ultimi dieci anni si è estinto, non è
esistito (dico ad alto livello: non voglio mancare di rispetto a chi nel basket
ha altre ragion d’essere). E la manifesta superiorità esibita in campo è lo
specchio di questa solitudine nel nulla. Ci si è quasi sempre concentrati sulla
solitudine, a volte quasi facendone una colpa, di rado capendo che andava
approfondito il nulla che la circondava.
Per questo per la perdita della Mens Sana non dovrebbe piangere
solo Siena (che poi la Mens Sana l’ha ritrovata, a un livello diverso) ma
dovrebbe farlo tutto il basket italiano, invece di fermarsi solo al mostro. E’
la perdita della propria ammiraglia. Ed è un evento che costringe un movimento
a guardarsi nello specchio per vedere impietosa quella pochezza in parte
mascherata per anni dalla capacità endogena di generare qualità della sua
società di riferimento. E questo resta, anche se quel 25 e quel 27 giugno le
cose sono girate in un modo invece che nell’altro, e lo scudetto è finito
altrove.
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